STIPES

Un bersaglio.

L’etrusco è, tra le lingue antiche, quella che vanta forse il maggior numero di tentativi di decifrazione (in alcuni casi decisamente fantasiosi e surreali) ed ancora oggi spesso si parla di “mistero” quando ci si riferisce ad essa. In realtà il mistero cominciò ad essere sciolto già dalla fine del settecento, quando i reperti, che affioravano dalle campagne ormai da diversi secoli, iniziarono a venir analizzati con metodo scientifico. Da allora moltissimi, accademici e dilettanti, si sono cimentati nella traduzione dei testi raggiungendo risultati a volte convincenti, altre scadenti, per non dire ridicoli. Lo stato dell’arte attuale vede da una parte un’accademia, composta dalla stragrande maggioranza degli etruscologi, che rifiuta la metodologia comparativo-etimologica classica per privilegiare quella ermeneutico-combinatoria poiché questa ha, come scopo, più la comprensione della cultura etrusca nel suo complesso che non della sola lingua; mentre dall’altra parte ci sono alcuni accademici “eretici” e diversi dilettanti intesi nell’accezione più positiva del termine, quella che coniuga la passione alla serietà e rifiuta i campanilismi, presso i quali prevale il metodo comparativo che, pur con tutti i limiti dovuti alla povertà e ripetitività dei testi in nostro possesso, a volte raggiunge soluzioni sicuramente criticabili, ma degne di considerazione perché basate su argomenti filologicamente corretti e rigorosamente applicati.

Uno di quest’ultimi, con cui ho avuto il piacere di un interessante ed utile scambio di opinioni e che ringrazio per la pazienza e l’aiuto, è il professor Adolfo Zavaroni che, a seguito dei suoi studi etruscologici pluridecennali, ha raggiunto la convinzione che l’etrusco di cui disponiamo sia un pidgin, cioè una lingua franca usata per comunicare coi popoli vicini che si rese necessaria per la posizione geografica e commerciale centrale che gli Etruschi occuparono tra il nord ricco di materie prime ed il sud in via di colonizzazione ellenica e punica. Tale lingua avrebbe quindi contenuto un lessico misto ma composto al 90% da radici di origine indoeuropea (da cui sono scaturite prevalentemente lingue flessive) sovrapposto ad un impianto morfologico più antico e non indoeuropeo (l’etrusco è una lingua agglutinante) o forse risalente ad una fase ancora più arcaica in cui l’indoeuropeo era agglutinante. Proprio la morfologia, universalmente riconosciuta come non indoeuropea, ha impedito finora all’accademia di accettare la teoria che vuole l’etrusco lingua indoeuropea ed a rifiutare, quasi in blocco ed ormai senza più impegnarsi a valutare caso per caso, le varie ipotesi di traduzione che di volta in volta vengono proposte nel solco indoeuropeistico (forse l’esponente più famoso di questa scuola è stato il professor Massimo Pittau le cui tesi, sebbene prodotte da un accademico esperto qual era, non sono accettate dalla comunità scientifica).

Come ho già avuto modo di spiegare, lo scopo della mia ricerca è quello di trovare una traduzione plausibile, se non certa, di una singola parola e, come tale, non ha la pretesa di proporre un’ipotesi sull’appartenenza di un’intera lingua ad un’area linguistica più che ad un’altra dato che, pur essendo importante il contesto in cui detta parola venne impiegata, avrebbe potuto trattarsi di un prestito da parte di lingue parlate da popoli confinanti. Pertanto penso che entrare nelle dispute che avvolgono l’etruscologia sia per me fuori luogo, sia perché non hanno una rilevanza specifica per la mia ristrettissima indagine sia perché non ho le competenze per poter dire la mia senza risultare velleitario.

E’ per questo motivo che mi limiterò a trattare un secondo significato possibile per zuχu differente dalla corrispondenza con il lat. succus: quello che ipotizza il professor Zavaroni sostenendo che la Z iniziale in molte parole etrusche fosse il risultato di un’evoluzione del gruppo ST- davanti a vocale lunga in parole appartenenti al proto-indoeuropeo. A prescindere dalla validità complessiva della sua teoria, la cui valutazione lascio ad altri molto più titolati di me, mi ha convinto l’argomentazione specifica ed è per questo che ritengo vada aggiunta questa pagina e tenuta in considerazione in attesa di sviluppi ulteriori. Sono ben consapevole del fatto che la sua proposta ha senso solo se si accetta anche la sua teoria complessiva di origine indoeuropea dell’etrusco ma se, nel caso della singola parola, si fosse trattato di un prestito linguistico indoeuropeo, ad esempio dal latino, la sua validità resterebbe comunque immutata.

Da “Online Etymology Dictionary

*stegh-
Proto-Indo-European root meaning “to stick, prick, sting.” It forms all or part of: stag; sting; stochastic.
It is the hypothetical source of/evidence for its existence is provided by: Greek stokhos “fixed target, erected pillar for archers to shoot at;” Lithuanian stagaras “long, thin stalk of a plant;” Old English stagga “stag,” stingan “to sting;” Old Danish stag “point;” Old Norse stong “stick, pole.”
stochastic (adj.)
1660s, “pertaining to conjecture,” from Greek stokhastikos “able to guess, conjecturing,” from stokhazesthai “to guess, aim at, conjecture,” from stokhos “a guess, aim, fixed target, erected pillar for archers to shoot at,” perhaps from PIE *stogh-, variant of root *stegh- “to stick, prick, sting.” The sense of “randomly determined” is from 1934, from German stochastik (1917).

Da “The American Heritage Dictionary Indo-European Roots Appendix“:

‌‌stegh-
To stick, prick; pointed.
1. Perhaps nasalized form *stengh‑. sting, from Old English stingan, to sting, from Germanic *stingan.
2. O-grade form *stogh‑.
a. stag, from Old English stagga, stag, from Germanic *stag‑;
b. stochastic, from Greek stokhos, pointed stake or pillar (used as a target for archers), goal.
[Pokorny stegh‑ 1014.] ‌‌steig-
To stick; pointed. Partly blended with stegh-.
Derivatives include stitch, ticket, instinct, stigma, tiger, and steak.
I. Zero-grade form *stig‑.
1. stickleback, from Old English sticel, a prick, sting, from Germanic suffixed form *stik-ilaz.
2. Suffixed form *stig-i‑. stitch, from Old English stice, a sting, prick, from Germanic *stikiz.
3. stick, from Old English sticca, stick, from Germanic expressive form *stikkōn‑.
4. etiquette, ticket, from Old French estiquier, to stick, from Germanic stative *stikkēn, “to be stuck.”.
5. snickersnee, from Middle Dutch steken, to stick, stab, from Germanic blended variant *stekan.
6. Nasalized zero-grade form *sti-n-g‑. distinguish, extinguish, instinct, from Latin stinguere, to quench, perhaps originally to prick, and its apparent derivative dīstinguere, to separate (phonological and semantic transitions obscure).
7. Suffixed form *stig-yo‑. stigma; astigmatism, from Greek stizein, to prick, tattoo.
8. Suffixed reduced form *tig-ro‑. tiger, from Greek tigris, tiger (from its stripes), from the same Iranian source as Old Persian tigra‑, sharp, pointed, and Avestan tighri‑, arrow.
II. Basic form *(s)teig‑.
1. instigate, from Latin īnstīgāre, to urge, from -stīgāre, to spur on, prod.
2. raita, from Sanskrit tejate (verbal adjective tikta‑), it is sharp.
III. Suffixed o-grade form *stoig-ā‑. steak, from Old Norse steik, roast, steak, and steikja, to roast (on a spit), from Germanic *staikō.
IV. Extended variant form *teigs‑.
a. thistle, from Old English thistel;
b. distelfink, from Old High German distil, thistle. Both a and b from Germanic *thistilaz, perhaps simplified from earlier *thīhstilaz.
[Pokorny (s)teig‑ 1016.]

Sacerdotes conjectores.

E ancora Vegezio:

« Gli antichi, come si trova scritto nei libri, addestravano in questo modo le reclute. Preparavano scudi di vimini arrotondati come canestri, così che il graticcio pesasse il doppio rispetto agli scudi normali. Ugualmente consegnavano alle reclute bastoni di legno, che pesassero sempre il doppio del peso normale, al posto delle spade.

Così si esercitavano non solo al mattino, ma anche nel pomeriggio, con i pali. L’esercitazione con i pali è molto utile non solo ai soldati ma anche ai gladiatori. Né il circo ne i campi di battaglia hanno mai accettato qualcuno come invincibile nelle armi, se non chi si era allenato diligentemente nell’esercizio del palo.

Ogni palo veniva piantato al suolo dalle singole reclute, in modo tale che non potessero oscillare e che uscissero dal suolo per sei piedi. La recluta si esercitava contro quel palo come fosse il nemico, con il bastone e il graticcio al posto della spada e dello scudo, ora in modo da indirizzare i colpi come contro il capo o il viso del nemico, o da spingerlo ai fianchi, cercando di ferirgli braccia e gambe, retrocedeva, avanzava, spingeva, aggrediva con tutta la forza possibile il palo, utilizzando ogni tecnica di combattimento, come se fosse un vero nemico. In questo tipo di esercitazione si usava prudenza in modo tale che la recluta colpisse senza esporre nessuna parte alle ferite. »

Cuneo   Monte Cuneo         Cugno   Monte Cugno di Ficana    Monte Cugno Dell’Alpet

Il bastone di Asclepio

Pur sapendo che nell’ambito della comunità accademica di studi filologici l’opera di Giovanni Semerano non è considerata avere le caratteristiche di scientificità necessarie per essere considerata attendibile sempre, mi sento di citarlo in questo capitolo perché mi sembra che la sua proposta etimologica sul teonimo greco Ἀσκληπιός (Asclepio, Esculapio) sia quanto meno degna di attenzione. Secondo il professore l’origine del termine, considerata solitamente oscura, andrebbe fatta risalire all’accadico azugallabu = “archiatra, capo dei medici”, parola composta da sum. azu-, akk. asû, “medico” e da -gallabu/gullubu, “barbiere” con mansioni nei templi dove, oltre che occuparsi della tonsura dei sacerdoti, eseguiva anche interventi chirurgici di piccola entità. Epiteto al maschile azugal del “gran barbiere” dio Damu ed al femminile azugallatu della suprema guaritrice dea Gula.

A questo proposito è interessante un’ipotesi sulla derivazione del simbolo medico chiamato bastone di Asclepio, da non confondere col caduceo. Solitamente rappresentato da un bastone o una bacchetta attorno a cui si attorciglia un serpente non velenoso (Zamenis longissimus, colubro di Esculapio o saettone), dovrebbe simboleggiare il rinnovamento della vita e rifarsi al Nehushtan biblico, prima menzione letteraria conosciuta del simbolo, ma non vi è certezza a riguardo. L’ipotesi vorrebbe invece che, al posto del serpente, attorno al bastone o bacchetta si attorcigli un verme (Dracunculus medinensis) per estrarre il quale serviva molta perizia ed, appunto, una bacchetta sulla quale il verme veniva arrotolato durante il procedimento di rimozione. Per lo stesso motivo per cui si ipotizza un verme, perché non una sanguisuga?

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Inoltre, sempre secondo il Semerano, anche il verbo greco ἰάομαι (ed i nomi del mitologico re alla guida degli Argonauti ΙάσωνGiasone, e di una delle figlie di Asclepio Ἰασώ, Iaso, che significano appunto “medico”) deriverebbe dal termine accadico che indica il medico nel senso di “the one who knows the water”, asû<apsû (“acqua, deep water”), cioè colui che conosce i fluidi del corpo, anche se l’Assyrian Dictionary (CAD) a pag. 347 del volume A II lo smentisce esplicitamente.

Il latino preferisce medicus, che deriva dal verbo medeor = “provvedere, rimediare, curare, guarire”, dal pie. *meh₁- , misurare, che sarebbe alla radice del termine latino mens, “mente, misura”, da cui anche il teonimo etrusco/latino Menerva (non a caso il santuario di Caverzago era dedicato a Minerva Medica) e dall’accadico medû, attinente ad edû, wadû, educare conoscere, inteso sempre come sapiente nell’uso dell’acqua. Da medeor deriva anche medella, “cura, medicina”, ma anche misura di liquidi, che potrebbe essere accostata a βδέλλα, sanguisuga, dal pie. *bdel- (Pokorny pag.288).

Esculapio

San Rocco e suoi attributi iconografici

Serpente di Esculapio

Esculapio

Ippocrate

Asclepiadi

Sacrificio     sacrifici

The Origin of Roman Praenomina“, George Davis Chase, Harvard Studies in Classical Philology , 1897, Vol. 8 (1897): “Socconius, from soccus, a slipper, connected with the stage of commedy”

Asser = asser, palo appuntito, Aser = sangue, Yasar sangue tocario, Acer = la punta delle foglie dell’acero, Acer = acre, Acerus = scorre senza cera, Acheron = Acheronte, fiume di dolore

Zwick  Zwick

Ahazu

Cuneus = cuneo, Ex cuneus Cogno, connio, Scogno, scognare, Scogna, Connio, Castiglione Chiavarese

Soccus

Stochos

Stefano

Vocabolario umbro