ZUΧU

Una corrispondenza.

Come già accennato in FUNDUS SUCCONIANUS, alla voce relativa nell’obbligazione di Cornelia Severa, vari ricercatori, delle tesi dei quali darò qui conto, ritengono che il gentilizio latino Succonius/Socconius (e forse anche Socennius) corrisponda a quello etrusco Zuχu/Sucu (la χ = lettera chi, è il segno grafico greco per esprimere la pronuncia aspirata della velare sorda C < KH).

Premessa

In questa pagina citerò le fonti a sostegno di questa corrispondenza e quelle contrarie, ed illustrerò i motivi per cui non è ancora possibile proporre una traduzione certa direttamente dall’etrusco, senza tralasciare però le * congetture più o meno ben argomentate sui suoi possibili significati. Al di là di ogni pretesa ermeneutica, resterà comunque la raccolta di tutte le occorrenze riconducibili all’ipotesi di lavoro.

Risultato immagini per sinottica alfabeti greco, etrusco, falisco, latino   

Prima di elencare tutte le fonti è necessario premettere che non esistono (o non sono ancora stati scoperti) documenti espliciti (tipo iscrizioni bilingui) in grado di dimostrare in modo incontrovertibile la corrispondenza tra gentilizio etrusco e gentilizio latino: le occorrenze sono relativamente poche, sporadiche, sparse sul vasto territorio abitato da Etruschi, Latini, Falisci ed Umbri, anche lontane in alcuni casi nel tempo l’una dall’altra. Per esempio la prova della traduzione del nomen etrusco in quello latino, passando attraverso il falisco, poggia su di una singola occorrenza (sia pur fortemente probante per varie ragioni) ed in linguistica c’è un motto che dice “unum exemplum, nullum exemplum“: il caso singolo non vale nulla. Non si ha a che fare con registri anagrafici, estimi o censuali completi, precisi e ben compilati, ma con iscrizioni per lo più funerarie, a volte leggibili con difficoltà, apposte a supporti di varia natura e destinazione, a volte mobili, prodotti altrove dal luogo di ritrovamento e della cui provenienza non si è certi; inoltre il sistema antroponimico non ha ancora i caratteri di sistematicità che assumerà nel mondo romano, per cui in certi casi è dubitabile perfino distinguere tra prenome e gentilizio; per di più, nonostante la difficoltà di proporre traduzioni sempre puntuali del corposo lascito epigrafico etrusco ed a dispetto di una notevole omogeneità formale, gli studiosi hanno potuto comunque rilevare differenze di tipo grafico tra varie scuole di scribi e forse dialettali tra aree settentrionali e meridionali dell’Etruria antica e perfino tra città (localismi), differenze che rendono ancor più difficile scoprire l’eventuale origine lessicale di molti antroponimi; infine delle lingue morte non abbiamo testimonianze fonetiche sempre certe, per cui cercare assonanze o divergenze di pronuncia affidandosi solo ai superstiti epigrafici è un po’ come cercare di capire il sapore di un frutto mangiandone solo la buccia: potrebbe darsi benissimo che una parola etrusca scritta in un certo modo suonasse quasi identica ad una parola latina di medesimo significato ma forma grafica diversa, almeno nella fase più arcaica (si pensi per esempio a come molte parole gaeliche conservino una pronuncia quasi identica quando vengono traslitterate in inglese). Tutto ciò impedisce, anche ai più esperti accademici oserei dire, di proporre, sempre e per ogni singola iscrizione, una traduzione che vada al di là di una mera ipotesi che pertanto, se si pretende abbia un qualche valore, dovrà essere come minimo internamente coerente (in base a tipologia e datazione dei reperti, regole evolutive paleografiche e fonetico/linguistiche) e ben argomentata. Sebbene Suc(c)onius/Soc(c)onius/Socen(n)ius come gentilizio sia epigraficamente abbastanza diffuso in varie città, la collocazione di ogni sua occorrenza non è anteriore al I sec. a.C. (vd. pag. UOMINI – EVO ANTICO), e questo fatto impedisce di avere alcuna granitica certezza sia su affermazioni che su negazioni riguardo la sua discendenza diretta dal gentilizio etrusco che qui si cerca di dimostrare (anche se, naturalmente, l’onere della prova è a carico di chi propone l’ipotesi).

A queste evidenze bisogna aggiungere che un soprannome personale, attribuito ad un antenato e costruito utilizzando un qualche vocabolo del lessico a lui contemporaneo, nel momento in cui viene scelto dai discendenti come nome per identificare tutta la famiglia, si cristallizza nella forma e nei significati tipici del periodo storico in cui venne eletto e, salvo storpiature ed errori di trascrizione, quelli mantiene sempre perché, per identificare un’intera progenie, la forma diventa più importante del significato. A causa di ciò diventa più difficile riconoscere con certezza il lemma d’origine e quindi proporne una traduzione. Questo fenomeno si è verificato spesso anche per i nostri cognomi attuali di cui, a distanza di secoli dalla formazione, in molti casi non si capisce immediatamente il significato originario: fossili viventi.

Non di meno ritengo sia importante raccogliere qui, oltre al certo, anche il probabile e perfino il possibile, sia come punto di arrivo del mio lavoro, sia come punto di partenza qualora emergessero nuovi reperti a suo sostegno o confutazione.

Fonti

Uno dei primi testi in cui si parla della corrispondenza tra gentilizi latini ed etruschi è “Zur Geschichte Lateinischer Eigennamen“, W. Schulze, Weimannsche – 1933, che costituisce una raccolta già piuttosto completa ed esaustiva. 

“…
Q. Socennii CIL VI 15443. 26617 (Stolz Hist. Gr. 1, 489) etr. sucnei CIE 414 (Arretium) zuχna zuχni 1194 sq. 1253, 1536, 2248 sq. (Clusium) Suciae cnat(us) 3451 = CIL XI 2020 (Perusia)1). Daneben sucu zuχu lat. Socconius 2) Ndsc 1886, 155 (Viterbo) Fabretti s. 1, 449 (Caere) CIE 2123, 2246 sq. 2633 (Clusium) 3928 sq. = CIL XI 1972 sq. (Perusia) XI 219 (Ravenna) 1273 (Placentia) 3223 (Nepet) VI 213 (aus Tuder) 1056 V 75 (Pola) Soconius XI 4714 (Tuder, dreimal) Succònius 5054 (Mevania) fundus Succonianus in Veleia — Succonia Rustica ist die Frau des M. Calpurnius Seneca Fabius Turpio Sentinatianus II 1267 (wenn echt). Der Name ist über die specielle etruskische Einflusssphaere, innerhalb deren er relativ häufig belegt ist, nicht hinausgedrungen. Ein wenig verbreiteter ist die deminutivische Form, Socellius V 2018 (Opitergium) VI 25479, 26616 Eph. epigr. 8, 171 nr. 710 (Flotte) Sogellius CIL IX 606 (Venusia) Socilius X 1137 (Abellinum). Ob etr. śaucni oben S. 120 verwandt ist (Lattes Saggi e appunti 25 n. 41), entscheide ich nicht. VgL auch Sycerna sucre oben S. 95, wo ich anzumerken versäumt habe, dass es in Bovianum vetus eine gens der Nummii Sucrini gegeben hat, CIL IX 2787 (aetatis vetustioris).”
1) Socius V 141 (Pola) Soccius 7878 (Augusts Bagienn.) Sucius 7897 (Cemenelum) Socceius 2307 (Chiozza).
2) zuχu = Socconius Pauli Etr. Fo. u. Stu. 3, 19, wo er den Gebrauch des etr. z (für s) im Anlaut, der auch das Altumbrische beeinflusst hat (v Planta 1, 74), erörtert.

Trad: “…Q. Socennii CIL VI 15443. 26617 (Stolz Hist. Gr. 1, 489) etr. sucnei CIE 414 (Arretium) zuχna zuχni 1194 mq. 1253, 1536, 2248 mq (Clusium) Suciae cnat(us) 3451 = CIL XI 2020 (Perusia)1). Inoltre, sucu zuχu lat. Socconius 2) Ndsc 1886, 155 (Viterbo) Fabretti 1, 449 (Caere) CIE 2123, 2246 mq. 2633 (Clusium) 3928 mq = CIL XI 1972 mq. (Perusia) XI 219 (Ravenna) 1273 (Placentia) 3223 (Nepet) VI 213 (da Tuder) 1056 V 75 (Pola) Soconius Moglie di M. Calpurnius Seneca Fabius Turpio Sentinatianus II 1267 (se reale). Il nome non si diffuse oltre la specifica sfera d’influenza etrusca, all’interno della quale è documentato con relativa frequenza. Un po’ più comune è la forma deminutiva, Socellius V 2018 (Opitergium) VI 25479, 26616 Eph. epigr. 8, 171 n. 710 (Flotta) Sogellius CIL IX 606 (Venusia) Socilius X 1137 (Abellinum). Sia ecc. śaucni sopra p. 120 è relativo (Lattes Saggi e appunti 25 n. 41), non decido io. Vedi anche Sycerna sucre sopra p. 95, dove ho trascurato di notare che in Bovianum vetus era presente una gens dei Nummii Sucrini, CIL IX 2787 (aetatis vetustioris).”
1) Socius V 141 (Pola) Soccius 7878 (Augusts Bagienn.) Sucius 7897 (Cemenelum) Socceius 2307 (Chiozza).
2) zuχu = Socconius Pauli Etr. Fo. e Stu. 3, 19, dove descrive l’uso di etr. Si discute della z (per s) nel suono iniziale, che influenzò anche l’Oldumbriano (v Planta 1, 74).

Successivamente è in “Prosopographia Etrusca“, del professor Massimo Morandi Tarabella (che ringrazio per l’aiuto), ed. L’Erma di Bretschneider – 2004, che si citano più approfonditamente tutte le iscrizioni finora conosciute, sia sepolcrali sia dedicatorie, rinvenute in alcune tombe e su oggetti parlanti disseminati sul territorio meridionale dell’Etruria, nelle quali è presente il gentilizio in questione.

Venendo alle fonti: quasi tutte le occorrenze in cui compare la sigla di catalogazione ET sono reperibili in Google Books, nel testo “Etruskische Texte: Texte. Bd. 2“, Helmut Rix, ed. GNV – 1991, basta inserire la sigla acronimo della città da cui provengono (Ar, Cr, Cl, etc.) nella finestra di ricerca (anche se non tutte le pagine sono disponibili alla lettura).

Zuχu

A Corchiano, nella zona dell’agro falisco, ed a Orvieto e Chiusi prevale l’etrusca e sensibilmente più diffusa iniziale Z:

1) Zuqu, Avile hapax arcaico (avi]le zuqu me turace men[er]avas, Veio, Portonaccio, fine VI inizi V sec a.C.[Avil]e Zuqu-me, ET Ve 3.29).
2) Zucenas, Venelus hapax arcaico (>lat. Sociennus?, {le} mi venelus zucenas, Falc – Vulci?, REE 39,45*).
3) Zuχus, Larece Mutus (2mi lareces zuχus mutus 1suθi, Orvieto, necropoli della Cannicella, tardo VI sec., CIE 5037, ET Vs 1.136), su blocco di tufo scoperto all’ingresso di una tomba nel 1879 conservato presso il Museo dell’Opera del Duomo di Orvieto, individuo che porta già in età arcaica o il secondo gentilizio (metronimico?) o un cognomen, cioè un soprannome: Mutu
4) Zuχus, Lariśa (lariśazuχus, Corchiano, sepolcreto del Vallone, IV sec. CIE 8382, ET Fa 2.15), ma per la datazione di questo reperto bisogna fare una precisazione dedicata (vd. sotto).
5) Zuχus (larθi: cal[isnei: l]a 2zuχuś, Perugia, CIE 3403, ET Pe 1.965). (vd. anche EVO ANTICO).
6) Zuχnal (ar: remzna: nuś(t)e: zuχna(l), Chiusi, Colle, CIE 1194, ET Cl 1.168).
7) Zuχnal (aθ: remzna: zuχnal, Chiusi, Colle, CIE 1195, ET Cl 1.170, ed anche remzna zuχnal, Chiusi, Colle, REE 50.5*, ET 1.171
).
8) Zuχnal (θana: remnzei: zuχ2nal, Chiusi, Pian dei Ponti, II sec. a.C., CIE 1253, ET Cl 1.60).
9) Zuχnal (vel 2velχe 3zuχnal, Chiusi, Sarteano, CIE 1536, ET Cl 1.832).
10) Zuχnal (vl: remzna :nuśte: zuχ(nal), Chiusi, ET Cl 1.2319).
11) Zuχni (ar: zuχni: resna(l): p(uias): σ(-?-), Chiusi, CIE 2248, ET Cl 1.1767).
12) Zuχniś (θansi zu2χniś Chiusi, CIE 2249, ET Cl. 1.1768). (vd. anche EVO ANTICO).
13) Zuχu, Velscu (au: vels2cu: zuχu: 3hvstnal, Chiusi, CIE 2123, ET Cl 1.1619).
14) Zuχu, Aule (aule zuχu, Chiusi, ET Cl 1.1769, ed anche au  zuχu, Chiusi, Cl 1.1770, entrambi CIE 2246).
15) Zuχu, Pumpu (vel: pumpu: zuχu:, Chiusi, CIE 2633, ET Cl 1.2173).
16) Zuχuś, Larθi Auleś (larθi 2auleś zuχuś, Chiusi, CIE 2247, ET Cl 1.1771).
(gli Zuχn- (< *Zuχun- per caduta della vocale àtona) di Chiusi da 6) a 12) nelle varie forme sono probabili retroformazioni dal lat. Succonius).

A queste vanno aggiunte le varie forme non antroponimiche, o per lo meno non sicuramente tali:
1) zuχuna, presente in due iscrizioni:
  a) una probabile tabella defixionis, o comunque testo devozionale, di Santa Marinella conosciuta anche come Punta Vipera (Cerveteri/Caere-Castrum Novum, VI-V sec. a.C., CIE 6310, ET  Cr 4.10, TLE 878; ThLE¹²);
  b) iscrizione rinvenuta nella Tomba delle Iscrizioni Graffite, a Cerveteri (ET Cr 1.197).
2) zuχne, presente nella Tavola Capuana (TC, V sec. a.C., potrebbe trattarsi di un deverbale o di un aggettivo sostantivato).
3) zuci, presente in due iscrizioni:
  a) la prima nel cippo di Perugia è ripetuta tre volte e sempre associata alla parola enesci (…zuci enesci…pr. zuchi eneschi, Perugia, collina di san Marco, III/II sec. a.C., CIE 4538; TLE 570; ET, Pe 8.4).
  b) la seconda nel disco di Magliano.
4) zucre, su coperchio di ossuario(av: śure: zucre [, Arezzo, Lucignano, datazione incerta  ET Ar 1.24).

Così in Prosopographia:

“…
CCXXVIII. ZUQUME

1. [Avi]le Zuqume. Veio. COLONNA, I987a, pp. 421-423; ET V c 3.29. Personaggio maschile autore della dedica a Minerva, nel santuario di Portonaccio, di una kylix del tipo “floral band-cup” con labbro filettato, ora perduta.
Il testo della dedica è stato stabilito dal Colonna nel modo seguente: [mini Avi]le Zuqume turace Me[ner]avas. Zuqume, hapax, è una formazione ampliata con suffisso -me del gentilizio *Zucu / Sucu, noto anche nella variante Zuχu.
CCXXIX. ZUXU
1. Larece Zuχus Mutus. Volsinii, Orvieto. CIE 5037; ET Vs 1.136. Titolare di una tomba a camera nella necropoli della Cannicella, da porre alla fine del VI secolo a.C. Oltre che dal nome di famiglia il personaggio è identificato dal cognomen Mutus (cfr. DE SIMONE, 1980, p. 37).
2. Larisa Zuχus. Corchiano, agro falisco. CIE 8382+add; GIACOMELLI, 1963, n. 45, p. 63; CRISTOFANI, 1988, p. 23, n. II; PERUZZI, 1990, p. 278; ET Fa 2.15. Formula onomastica bimembre graffita su un calice di bucchero pesante da una tomba a camera del sepolcreto di S. Antonio, da porre verso la fine del IV secolo a.C., contenente sei deposizioni. Dall’iscrizione di possesso si risale ad un nome in caso zero Laris Zuχus.
Gentilizio formato sull’omomorfo nome individuale, da cui si producono regolari derivati in -na (Zuχuna, da Caere-Castrum Novum, CIE 6310, VI-V secolo a.C.) sincopati in neo-etrusco (Zuχna e Zuχni a Chiusi, CIE 1194, 1195, 1253, 2248, 2249 ecc.). Il derivato Zuχ(u)na è testimoniato ancora a Corchiano dalla formula onomastica faliscizzata verso la fine del IV secolo a.C. di Poplia Zuconia (CIE 8385), sepolta in una tomba a camera del sepolcreto in contrada S. Antonio. Valido appare anche il collegamento linguistico al gentilizio ceretano Sucu e al veiente Zuqume, su cui vd. s.vv.”
(cit. “Prosopographia Etrusca“, di Massimo Morandi Tarabella, ed. L’Erma di Bretschneider 2004).

A queste considerazioni aggiunge in “Prosopographia Etrusca – Studia Gentium Mobilitas“, Massimo Morandi Tarabella, ed. L’Erma di Bretschneider 2004:

“…
n. 25

TESTO: avi]le zuqu me turace men[er]avas
]le zuqu {me} turace men[er]avas (ET)
v.l. zuqume (DE SIMONE, COLONNA, CIE)
MORFOSINTASSI: S[*PNnom(m) + INGnom(m)] + OD[PRONnom] + V[PRAET] + 01[TEONgen] FORMULA ONOMASTICA: Avi/le Zuqu
GENERE DEL DESIGNATUM: maschile
ING: Zuqu
FORMAZIONE: nome in -u <*Zuq-u
ORIGINE DEL PN: etrusca?
ORIGINE DELL’ING: etrusca
CONTESTO: Veii, santuario del Portonaccio. kylix “floral band-cup” con labbro filettato, ora perduta.
CRONOLOGIA: 525-500 a.C.
BIBLIOGRAFIA: COLONNA 1987. p. 423; DE SIMONE I989b. p. 206; ET Ve 3.29; PE 1,1.CCXXVIII.1; CIE 6418.
La lettura dell’iscrizione è complicata dalle opzioni di divisio verborum tra la seconda parola conservata e la terza. Uno sguardo generale all’esecuzione del testo ci può essere di aiuto per una valutazione generale e una sua interpretazione. Si rilevano diversi errori esecutori, anche nell’espressione dell’OI della dedica, in GEN dopo turuce invece che in DAT. Il me che Rix espunge e che Colonna ritiene far parte del PN (in –me), è forse da ritenere un tentativo di esprimere l’oggetto di turuce, quindi è da considerare equivalente a mini. Nel complesso l’aspetto “sociografico” denuncia molte incertezze: la c di turuce è inserita in seguito ad una e di piccole dimensioni: si tratta forse di un ripensamento, ovvero turace invece di turuce; ciò che rimane alla fine del testo di Menervas, OI della dedica espressa però in genitivo, è in realtà solo me[…]avas. A questo punto propenderei quindi per una lettura Zuqu, più plausibile anche come ING che non Zuqume. Le formazioni gentilizie già arcaiche Zuχuna (da Caere, Castrum Novum CIE 6310; VI-V secolo a.C.) e i gentilizi recenti Zuχna e Zuχni (Chiusi CE 1194, 1195, 1253, 2248, 2249 ecc.) infatti, pur con la variante aspirata, riconducono più plausibilmente ad un PN Zuχu/Zuqu.

n. 64
TESTO: a) suθi b) mi lareces zuχus mutus
MORFOSINTASSI: b) S[PRONnom) + CS(PNgen(m) + INGgen(m) + COgen(m)] FORMULA ONOMASTICA: Larece Zuχus Mutus
GENERE DEL DESIGNATUM: maschile ING:  
FORMAZIONE: nome in -u <*Zuχ-u
ORIGINE DEL PN: etrusca
ORIGINE DELL’1NG: etrusca
ORIGINE DEL CO: etrusca
CONTESTO: Volsinii, necropoli della Cannicella, fronte della tomba.
CRONOLOGIA: 525-475 a.C.  
BIBLIOGRAFIA: RIX, Cognomen, p. 194; RIX 1972, p. 738; CIE 5037; ET Vs 1.136; PE I, CCXXIX, 1.
Si tratta di una formula onomastica trinomia per i quali l’interpretazione si deve basare, come negli altri casi visti in precedenza, su principi statistici. Dei tre elementi, il primo è PN etrusco noto e diffuso, il secondo svolge, come nella maggior parte delle formule trimembri, la funzione di gentilizio (qui ING), e il terzo può essere cognome o patronimico. Secondo Rix, il fatto che Mutu non sia noto come PN fa ritenere che si tratti di un cognome. La stessa interpretazione è anche in DE SIMONE 1980 (pag. 37), che nota come il cognome non è ancora diffuso in età arcaica come lo sarà poi in età recente. Il nome Zuχu, noto anche nelle formazioni gentilizie Zuχuna (rec. Zuχnal, Zuχni) è da attribuire ad ambito etrusco, ed è attestato in età recente soprattutto a Chiusi.”

Sucu

Più a sud, sulla costa tirrenica e forse maggiormente sotto l’influsso latino si trova anche l’iniziale S o Ś:

1) Sucisnaia, Θanakvil  (<Sucisna, miθanakviluśsucisnaia, Cere?, 620-580 a.C., CIE 6712, ET Cr 2.42), nome femminile graffita su un frammento vascolare in bucchero di probabile origine ceretana.
2) Sukisna, Laive  
(milaivessukisnas, Vulci, sepolcreto della Banditella, Marsiliana d’Albegna, ET AV 2.1, secondo quarto VII sec. a.C.), su tripode bronzeo.
Entrambe probabilmente originati da un nome personale Suc-i, da cui deriva probabilmente anche il metronimico latino Sucia, relativo all’iscrizione presente in CIL XI, 2020 (A.PETRONIUS.L.F.SUCIAE.CMT [curavit monumenti titulum]) proveniente da Perugia, primo quarto del I sec. a.C.
3) Sucnei, Larθi Cainei (1a. titeś. crespe. 2larθi. cainei 3sucnei, Arezzo, necropoli di Bettolle, epoca incerta V-I sec. a.C., CIE 414, ET Ar 1.16), di certo derivato da <Sucu-ne-i è un gentilizio femminile secondo Morandi Tarabella, un cognomen secondo Benelli, aretino (ma di influenza chiusina); su ossuario, la formula presenta due individui, uno maschile ed uno femminile, con doppio gentilizio entrambi.
4) Śuca in CIE 1170, secondo correzione di ET Cl 1.18 (lautni. śuca, Chiusi, Val d’Acqua, II sec. a.C.), nome di una schiava liberta
(lautni).
5) Sucle, Aule Cae in CIE 3300, secondo correzione di ET Cl 1.641 (aule:cae sucle, area chiusina, Torre di Bèccati, datazione incerta V-I sec a.C.).
6) Sucnal, V Turmna in ET Co 1.35 (v:turmna:sucnal, ossuario, Cortona, loci incerti).

Sucu invece sembrerebbe esclusivo di Cerveteri dove, presso la necropoli della Banditaccia, nella zona del Tumulo della Tegola Dipinta, è presente una tomba, scoperta nel 1967, di questa gens composta da vari elementi dei quali:
7) Sucus, Larθ  (metà del IV sec., CIE 6211; ET Cr 1.155) è l’individuo che dà il nome all’ipogeo;
8) 3 individui (ranθu vincnai sucus ati, Ranθu Vincnai madre di Sucu, seconda metà del IV sec. a.C., CIE 6206, ET Cr 1.152), presenti nella stessa tomba e della cui parentela si può esser ragionevolmente sicuri solo nel caso Ranθu Vincnai come madre (ati) di Larθ Sucus.
→ altri 3 individui della stessa gens Sucu, i cui nomi risultano incisi su alcuni oggetti dedicatori probabilmente provenienti sempre da Cerveteri:
9) Sucus, L[arθ?] figlio di L[arθ?] (datazione incerta, CIE 6235; ET Cr 1.172; CII 1,449):

“…
684. l(arθ) ∙ sucus ∙ l(arθal) ∙ c(lan)
CIE 6235; CII I 449; ET Cr 1.172; Blumhofer, 65, No. 7+; PE, DXXX. 2, p. 495.
Of unknown provenance. “In una stele a Cerveteri”. Now disappeared.
Insufficient criteria for dating.”
(cit. THE SOUTH ETRUSCAN CIPPUS INSCRIPTIONS (SECI)“, Jorma Kaimio, Acta Instituti Romani Finlandiae Vol. 44, Roma – 2017)

10) Sucus, Larθi Rupsai  (1marce.lapicanes.turis 2larθi.sucus.rupsai:, fine IV – inizio III sec. a.C., ET Cr 2.131);
11) Sucui, Ramθa, figlia di Marce (Sucus) (ramθa.sucui.marces.seχ, fine IV – inizio III sec. a.C., CIE 6064; ET Cr 1.100; CIL XI 7715; ):

“…
553. ramθa ∙ sucui ∙ marces ∙ seχ
CIE 6064, Tab. LXXIII; CIL XI 7715; NRIE 946; ET Cr 1.100; Blumhofer, 75, No. 3, Taf. 23; PE, DXXX. 3, p. 495.
Found in Tomb No. 164 of the Hellenistic period. Type Blumhofer IIIa1, of peperino. Inv. No. 12. H 27 cm, B 37 cm, D 16 cm. Inscription on the “roof”. Letters 2-2.5 cm high. 1st half of 3rd century B.C.
(cit. “THE SOUTH ETRUSCAN CIPPUS INSCRIPTIONS (SECI)“, Jorma Kaimio, Acta Instituti Romani Finlandiae Vol. 44, Roma – 2017)

12) Sucius, Seie (?) titianuseiesucius, coperchio di un vaso in rozza terracotta del IV-III sec. a.C. (vedi sotto).

A queste vanno aggiunte le varie forme non antroponimiche, o per lo meno non sicuramente tali, tutte presenti nel Liber Linteus (LLZ) di Zagabria:

5) śuci, śucri, śuciva 
6) ścunueri

Così in Prosopographia:

“…
DXXIX. SUCISNA / SUKISNA
1. Θanakvil Sucisnaia. Cerveteri (?). TLE 766: AGOSTINIANI, 1982, n. 526; ET Cr 2.42; MARCHESINI, 1997, p. 47, n. 79. Personaggio femminile conosciuto dall’iscrizione di possesso in scrittura continua mi Θanakviluś Sucisnaia, graffita su un frammento vascolare in bucchero forse di origine ceretana (Marchesini). 620-580 a.C.
2. Laive Sukisnas. Marsiliana d’Albegna, agro di Vulci. CRISTOFANI, 1973-74, pp. 151-153; ET AV 2.1. Personaggio maschile titolare di un tripode bronzeo facente pane della suppellettile della tomba X del sepolcreto della Banditella, databile per la ricca composizione di ori, argenti e vasellame bronzeo al secondo quarto del VII secolo a.C. (Cristofani).
Gentilizio di ambito meridionale tirrenico, non più attestato dopo i primi decenni del VI secolo a.C. L’iscrizione dichiarante la proprietà del tripode di Marsiliana, mi Laives Sukisnas, incisa in scrittura ininterrotta sul piede, offre testimonianza del raro prenome Laive, responsabile della formazione del gentilizio orvietano Laivena (vd. s.v.), forse attestato anche nella tomba dell’Orco I nella variante Lei[ve] (TLE 84; vd. s.v. Murina).
DXXX. SUCU
1. Larθ Sucus. Cerveteri. CIE 6211; ET Cr 1.155. Riceve sepoltura nella tomba della gens Sucu, scoperta nel 1967 nella necropoli della Banditaccia, nella zona della “Tegola Dipinta”, databile nella seconda metà del IV secolo a.C. La formula onomastica era scolpita su un frammento di tufo staccatosi dalla banchina sinistra; madre di Larθ è probabilmente quella Ranθu Vincnai intimata immediatamente a destra della porta (vd. s.v. Vin(a)cna, n. 2).
2. L(arθ?) Sucus, figlio di L(arθ?). Cerveteri. CII I, 449; CIE 6235; ET Cr 1.172. Titolare di una stele o cippo sepolcrale di origine incerta, ricordato dal Fabretti ed ora perduto. Età recente.
3. Ramθa Sucui, figlia di Marce (Sucus). Cerveteri. MENGARELLI, 1915, p. 382, n. 122; CIL XI, 7715; NRIE 946; CIE 6064; ET Cr 1.100. Titolare di un cippo in peperino, rinvenuto dal Mengarelli nella tomba n. 164 della necropoli della Banditaccia. Fine IV – inizi III secolo a.C. (Di seguito l’immagine esatta dell’iscrizione presa da “Iscrizioni etrusche: leggerle e capirle”, Enrico Benelli, Ancona, SACI edizioni, 2007; nota mia):

4. Larθi Sucus Rupsai. Cerveteri. CRISTOFANI-PROIETTI, 1982, p. 70; PROIETTI, 1985a, p. 235, n. 45; ET Cr 2.131. Personaggio femminile ricordato nell’iscrizione di possesso incisa sotto il piede di un piattello Genucilia di origine incerta, risalente alla fine del IV – inizi del III secolo a.C. La formula onomastica consta di prenome-gentilizio-cognome; è associata sullo stesso piattello a quella di un uomo, Marce Lapicanes Turis, verosimilmente suo marito (vd. s.v. Lapicane, n. 1). È notevole l’uso della desinenza del genitivo maschile per il gentilizio, mentre il cognome è regolarmente al femminile. (Di seguito l’immagine esatta dell’iscrizione presa da “Iscrizioni etrusche: leggerle e capirle”, Enrico Benelli, Ancona, SACI edizioni, 2007; nota mia):

Altri individui sepolti nella tomba della gens nella necropoli della Banditaccia sono:
Veinz(a) Armi, personaggio muliebre; (vd. s.v. Arme). Ramθa Haθri; (vd. s.v. Haθre). Ranθu Vincnai; (vd. s.v. Vin(a)cna).
La gens dei Sucu è rappresentata a partire dal IV secolo a.C. a Cerveteri da due uomini (nn. 1, 2) e da due donne (nn. 3, 4); rapporti di parentela sono recuperabili solo per il n. 1, figlio di una Vincnai, e per la n. 4, moglie di un Lapicanes. Quanto agli ipogei di pertinenza, uno almeno sembra individuabile nella necropoli della Banditaccia grazie al sepolto n. 1. Sucu sembrerebbe esclusivo della città in discorso, essendo costituito l’unico possibile richiamo dal gentilizio femminile Sucnei di Arezzo (CIE 414, certo derivato da <Sucu-ne-i). Sensibilmente più diffusa è viceversa l’altra variante, Zuχu, documentata a partire dal tardo VI secolo a.C. con un sepolto ad Orvieto-Cannicella (vd. s.v. Zuχu, n. 1), quindi nel IV secolo a.C. a Corchiano con un uomo conosciuto da un testo vascolare (vd. s.v., n. 2), infine a Chiusi (Velscu Zuχu CIE 2123, CIE 2246, Pumpu Zuχu CIE 2633; vd. anche s.v. per le occorrenze dei derivati Zuχuna, Zuχna e Zuχni)”. In particolare l’epigrafia funeraria di Corchiano si rivela di un certo interesse anche per gli indizi che essa offre riguardo alla progressiva faliscizzazione dell’onomastica etrusca degli immigrati ivi residenti: nel caso di Sucu/Zuχu, il fenomeno è dimostrato per il IV secolo a.C. dalla formula bimembre di una Poplia Zuconia (CIE 8385), sepolta nella necropoli di S. Antonio assieme ad altri etruschi “faliscizzati”: un Ma(r)cena con la moglie Morenez (CIE 8384), un Marcna con la moglie Citiai (CIE 8386). Zuconia costituisce la “traduzione” in ambiente linguistico falisco di un originario gentilizio etrusco Zuχu, o meglio Zuχuna, così come il latino ci restituisce le forme Socconius, Succonius, Socennius. Il passo ulteriore, ovvero legare a livello genealogico gli Zuconii di Corchiano con i Sucu di Caere, non può tuttavia essere compiuto, per la totale mancanza di elementi sfruttabili in tal senso nelle filiazioni.
(Vale la pena richiamare anche l’iscrizione di possesso arcaica di origine incerta edita da FALCONI /MORELIA, 1971, p. 359. n. 45, con ipotetica attribuzione a Vulci, menzionante un [le mi] Venelus Zucenas il cui gentilizio è in indubbio rapporto con la base onomastica Sucu/Zuχu.)
(ZGLE. p. 233; PERUZZI, 1990, p. 278. I gentilizi latini Socconius, Succonius, Socennius, ora richiamati, derivano senza alcun dubbio da *Sucuna/Zuχuna, mentre a Sucu risale il metronimico Suciae cnatus) di CIL VII 2020 (Perugia).”
(cit.
Prosopographia Etrusca“, di Massimo Morandi Tarabella, ed. L’Erma di Bretschneider 2004).

In un articolo del 2012 della professoressa Valentina Belfiore, “Problemi di dialettologia etrusca : spie grafiche e questioni « dialettali » non solo perugine“, reperibile online nel sito dei “Mélanges de l’École française de Rome – Antiquité (MEFRA)“, si parla diffusamente delle variazioni grafiche dell’area perugina per cercare di stabilire se possano o meno essere considerate come marcatori di variazioni linguistiche, cioè dialetti. Alla nota 37 dei capitoli 18 e 19, in cui viene esaminato il dittongo -au- in [š]auχnate/śauχnate, si parla specificamente di quale relazione esista tra gentilizio etrusco e gentilizi latini derivati:

“…
37 A sud (Cerveteri) la pronuncia è sa[kh]us, a nord [š]a[kh]us. L’eventuale grafia settentrionale è attestata solo da śaχus, di origine incerta, e da śaucni, śauχnateś. Per Schulze (1904, p. 120, 146, 233) śaucni e śauχnate sono confrontabili (ma non necessariamente da considerare con le forme Socennii, Socellius, da cui proverrebbero gli etruschi sucnei, zuχna, zuχni chiusini). Confronti sono stati richiamati anche con savcnes di Viterbo (AT 4.1, CIE 10498 ; Schulze 1904, p. 120). saχu ricorda invece per lo studioso Saginius Saccidius Sagatius (Schulze 1904, p. 369). Colonna (in REE, 46, 1978, p. 350, n. 103) a proposito di saχus ha parlato di Individualnamengentile ; così Morandi 2004, p. 452, per le forme saχu chiusine e perugine.”

In questo caso Belfiore cita Schulze ma per segnalare che la retroformazione dei sucnei, zuχna, zuχni chiusini sarebbe da attribuire ai gentilizi latini Socennius e/o Socellius, mentre Schulze, sempre a pag. 233, indica che da sucu/zuχu derivino anche e forse soprattutto Socconius e Succonius.

Seie Sucius

Per completare il catalogo delle occorrenze aggiungo che, per quanto riguarda la n° 12), durante la campagna di scavi del settembre 2016 a Castrum Novum (Cerveteri) condotti anche dal professor Enrico Benelli in località Santa Marinella (Roma), insieme ad altri reperti, è stato rinvenuto il coperchio di un vaso in rozza terracotta del IV-III sec. a.C. Esso reca un’iscrizione in scriptio continua (senza interruzioni) molto interessante, sia per l’aspetto paleografico, sia per questa ricerca: titianuseiesucius, che rappresenta un gruppo di nomi appartenenti a tre o quattro persone a seconda della separazione delle parole che si può ragionevolmente applicare facendone una lettura critica (Titi Anu Seie Sucius). L’analisi del reperto con tutte le considerazioni seguenti all’autopsia è consultabile in “Castrum Novum – I materiali etruschi dall’area urbana antica“, E. Benelli, F. Enei, Ecole Française de Rome – 2017, pagg. 12-15. Qui rileva soltanto riportare un ulteriore possibile gentilizio derivante dalla radice suc-: Seie Sucius (genitivo di Suciu).

L’alternativa a questa lettura sarebbe una separazione dei nomi che conducesse a Seies Ucius, entrambi antroponimi ben attestati e quindi altrettanto probabili.

Nella nota n. 15 a pag. 29 poi il professore ricorda altri antroponimi derivanti da suc-: oltre ai già citati Sucnei (catalogato qui come cognomen, Bettolle, CIE 414, ET Ar. 1.61) e Sucu (Caere, Banditaccia), anche il nome individuale di una schiava liberta Śuca in CIE 1170, secondo correzione di ET Cl 1.18 (lautni. śuca, Chiusi, Val d’Acqua, II sec. a.C.), ed anche Sucle in CIE 3300, secondo correzione di ET Cl 1.641 (aule:cae sucle, area chiusina, Torre di Beccati, datazione incerta V-I sec a.C.) e Sucnal in ET Co 1.35 (v:turmna:sucnal, ossuario, Cortona, loci incerti); si conclude infine dicendo che, rispetto al considerare Sucius come derivante da un nome proprio di persona,

“…
meno promettente sarebbe un’interpretazione come vocabolo, per riferimento alla radice śuc- (grafia settentrionale), attestata ripetutamente nel LL (III sec. a.C., nota mia) sia in senso nominale che verbale (śuci, śuciva, śucri: cfr. Belfiore 2010, p. 145-146)” (op. cit.).

Poplia Zuconia

Il professor Tarabella cita il caso della “traduzione” dell’etrusco Zuχu (o dello zuχuna già incontrato a Cerveteri in una tabella defixionis, ma probabilmente diffuso anche in altre località, il quale, se si trattasse di un antroponimo, sarebbe traducibile in italiano come “appartenente alla famiglia degli Zuχu“, dove il suffisso aggettivante na ha la funzione di formare il gentilizio) con il falisco Zuconia, scritta sinistrorsa in caratteri falisci su una tegola sepolcrale del IV-III secolo a.C. (tipica delle tombe alla cappuccina, abitualmente occupate dalle classi meno abbienti). E’ dedicata ad una Poplia Zuconia (CIE 8385) sepolta a Corchiano, etrusca sia per il gentilizio che per il prenome (Pupli Zuχui o Zuχunai la probabile forma etrusca originale), nella tomba n° 28 del sepolcro di sant’Antonio, insieme ad altri etruschi “faliscizzati”: Ma[r]cena con la moglie Morenez (CIE 8384, ET Fa 1.1), dove, la z finale, potrebbe indicare la pronuncia sorda di quella s finale che si sarebbe trovata nella forma etrusca dell’antroponimo, e Marcna con la moglie Citiai (CIE 8386, ET Fa 1.2).

Il saggio che tratta più ampiamente questa occorrenza è The Latin Dialect of the Ager Faliscus: 150 Years of Scholarship, Volume 1“, Gabriël C. L. M. Bakkum, ed. Amsterdam University 2009, in cui l’autore aggiunge anche un Uel Zu[con]eo (MF 56) rinvenuto a Civita Castellana: in questo caso si tratta di una ricostruzione, ma la sua plausibilità aggiunge un altro tassello (vd. sotto) all’ipotesi di corrispondenza tra gentilizio etrusco e latino. Il professore sostiene la tesi che la lingua falisca sia un dialetto latino parlato da un popolo di origine latina, i Falisci, insediato nel territorio attorno alla medievale Civita Castellana (Falerii Veteres, loro capitale) e saldamente alleato al popolo etrusco, prima che entrambi venissero sconfitti dai Romani. Bakkum scrive inoltre che, a seguito dello studio sistematico degli accoppiamenti tra praenomina, gentilicia e cognomina, non ci sono indicazioni che un certo praenomen ricorresse abitualmente in una certa famiglia (tranne una debole evidenza proprio nel caso di Uel nella gens Zuconea/Succonia), o che un nome etrusco venisse preferito sempre nell’ambito di una gens di origine etrusca anzi, sembra che, in ambito falisco, etrusche o no, le famiglie ivi insediate scegliessero generalmente nomi falisci (così come vi sono alcuni casi di nomi di origine etrusca accoppiati a gentilizi non specificatamente di origine etrusca).

Una notevole eccezione a questa regola è costituita da alcuni casi in cui praenomen e gentilicium sono entrambi di origine etrusca, il che fa pensare ad identità originariamente etrusche più che falische. In particolare la compresenza nella tomba n. 28 di Corchiano di altri quattro nomi etruschi faliscizzati (MF 269 e 270 ovvero CIE 8384 e 8386) come quello di Poplia (MF 271 ovvero CIE 8385), praenomen di origine tipicamente etrusca (Pupli), consente di ipotizzare con un considerevole grado di affidabilità che anche quest’ultima sia di origine etrusca e che quindi il nomen Zuconia sia la faliscizzazione di un nomen etrusco (probabilmente un Zuχu di cui si ha evidenza anche nel CIE 8382 Larisa Zuχus proprio a Corchiano), il che rende questo indizio fortemente probante della corrispondenza. Così il Bakkum a pag. 289:

“…
A notable exception to this (si riferisce all’evidenza statistica contrariamente osservata nella maggior parte dei casi, nota mia) are the inscriptions from Corchiano aruz : cesie : aruto MF 257, poplia : calitenes l aronto l : cesies l lartio : uxor MF 265, and ueltur : tetena l aruto MF 266, arute macena l morenez MF 269, larise : marllcna : citiai MF 270. In all that cases, there is a combination of Etruscan praenomen with an Etruscan gentilicium, and in MF 257, 265, 266, the filiation shows that the father had an Etruscan praenomen as well. These inscriptions also show a number of other Etruscan features (cf. § 7.10.3 and § 9.2.3). This could imply that Etruscan praenomina occurring within families with an Etruscan gentilicium were an indication of an Etruscan rather than a Faliscan identity.” (dato che a pag. 286 viene esplicitamente inserito tra i gentilizi di origine sicuramente etrusca insieme a tutti quelli qui citati, a pag. 289 avrei aggiunto anche poplia zuconia, nota mia).

Trad.:”…Una notevole eccezione a ciò (si riferisce all’evidenza statistica contrariamente osservata nella maggior parte dei casi, nota mia) sono le iscrizioni da Corchiano aruz : cesie : aruto MF 257, poplia : calitenes l aronto l : cesies l lartio : uxor MF 265 , e ueltur : tetena l aruto MF 266, arute macena l morenez MF 269, larise : marllcna : citiai MF 270. In tutti questi casi, esiste una combinazione di praenomen etrusco con un gentilicium etrusco, e in MF 257, 265, 266 , la filiazione dimostra che il padre aveva anche un prenome etrusco. Queste iscrizioni mostrano anche una serie di altri elementi etruschi (cfr. § 7.10.3 e § 9.2.3). Ciò potrebbe implicare che i praenomina etruschi presenti all’interno di famiglie con un gentilicium etrusco fossero un’indicazione di un’identità etrusca piuttosto che falisca.”

Questa sarebbe quindi la prova diretta della corrispondenza linguistica/grafica del gentilizio tra la sua forma etrusca e quella falisca, dialetto molto simile al latino, in cui la desinenza u (secondo il Pittau è probabile che in etrusco fosse pronunciata -un) si trasforma nella -on- di on-ius/-on-ia, “traduzione” dovuta probabilmente ad una immigrazione e successiva integrazione (per ottenimento della cittadinanza, ad es.) in ambito culturale falisco di elementi etruschi. E’ anche l’unica prova ma, per i motivi prima elencati, ha un alto grado di affidabilità.

Questo collegamento non può essere fatto invece a livello genealogico poiché manca qualsiasi prova che i Sucu di Cerveteri discendessero direttamente dagli Zuχu/Zuconii di Corchiano, ma è logico pensare che il gentilizio, una volta traslitterato, sia stato trasmesso nella nuova forma alle generazioni successive.

Si può verosimilmente ipotizzare che la stessa cosa sia accaduta nella lunghissima fase di mescolamento etnico e culturale (che porterà anche alla nascita della città di Roma) tra Latini, Etruschi, Sabini ed altre popolazioni coabitanti sul territorio dell’Italia centrale con la trasformazione del gentilizio etrusco dalle/alle sue forme Sucuna / Zuχuna / Zucenas dalle/alle latine Succonius / Socconius / Sociennus, sicuramente corrispondenti fra loro, senza poter dire con certezza quale radice sia derivata dall’altra: tanto è possibile infatti che sia in latino sia in etrusco si usasse la stessa radice per indicare un medesimo oggetto o concetto, e che questo lessema sia diventato cognomen prima e nomen poi durante un processo coevo alle due comunità linguistiche, quanto è impossibile stabilire con certezza che lingua parlasse ed a quale background culturale appartenesse il possessore di un dato gentilizio. Esso in molti casi veniva scelto dalla discendenza per consolidare un’avvenuta integrazione, nel caso la provenienza dell’antenato fosse stata straniera, ed ovviamente si optava per la forma linguistica dell’antroponimo più vicina a quella della comunità d’accoglienza.

Non lontano da Corchiano, in zona Falerii Novi, si trova un sepolcreto ricavato ai lati dell’antica Via Amerina che collegava Roma ad Amerii (attuale Amelia), il cui nome va indagato meglio per capire se si tratti di un toponimo antico o recente: il Cavo degli Zucchi

Tuttavia la maggiore antichità delle iscrizioni riportanti il gentilizio nella forma etrusca, rispetto a quelle recanti la forma latina, lascia supporre a mio avviso che il primo abbia fatto quantomeno da modello per il secondo, come argomentato in “L’alfabeto latino alla conquista dell’Etruria“, A. Maggiani, Università Ca’ Foscari, Venezia 2015, dove si analizzano le fasi temporali della trasformazione. Altrettanto non può essere detto della parola da cui originò il gentilizio la quale, pur essendo utilizzata anche in etrusco, avrebbe potuto essere un prestito di qualche lingua indoeuropea come il latino.

Percorso

Per dare un’idea del percorso che si forma unendo tra di loro tutte le città presso le cui necropoli è stata rilevata un’iscrizione recante il gentilizio Zuχu/Sucu, pubblico la seguente mappa. Il percorso tocca tutte le necropoli in cui sia stato ritrovata un’iscrizione recante il gentilizio etrusco ed include anche Veio, sebbene non sia evidenziata sulla mappa.

Tavola diacronica

Dalla catalogazione di ogni periodo storico e collocazione geografica di ogni singola occorrenza ho tratto la seguente tavola diacronica:

Dove è presente il punto interrogativo l’occorrenza non ha una datazione certa (o per lo meno non sono ancora riuscito a trovare un testo che la individui), perciò l’ho collocata nel periodo più probabile in base a quanto ho finora potuto evincere. Gli antroponimi sono scritti con la maiuscola iniziale, le voci lessicali con la minuscola.

Di fronte a questa distribuzione geografica e temporale si possono fare due ipotesi:

1) Un unico gentilizio, due forme

Questo è quel che pensano il prof. Morandi Tarabella, come ho esposto citandolo fin qui, il prof. Pittau, con alcuni distinguo che prenderò in considerazione più avanti, ed il prof. Gabriël Bakkum nel suo saggio sulla lingua falisca. Così pure in “THE SOUTH ETRUSCAN CIPPUS INSCRIPTIONS (SECI)“, Acta Instituti Romani Finlandiae Vol. 44, Roma – 2017,  pag. 67, Jorma Kaimio ritiene possibile si tratti di un medesimo nome quando, riferendosi ad alcuni gentilizi rinvenuti solamente a Caere, a proposito dei Sucu scrive nella nota:

227 Possibly the same name is Zuχu, found at Volsinii, Clusium and Perusia.”

Sembra fosse di quest’avviso anche il prof. Benelli in “Iscrizioni etrusche: leggerle e capirle”, Ancona, SACI edizioni – 2007, pag. 50, dove, descrivendo l’iscrizione sul piattello Genucilia dedicato a Larθi Sucus Rupsai, a proposito delle due forme zuχ-/suc- si esprimeva così:

“Non si può escludere che la forma Sucu sia la grafia ceretana del più noto gentilizio Zuχu, attestato già in età arcaica da una iscrizione funeraria di Orvieto (ET Vs 1.136 = CIE 5037), e poi da una di possesso da Corchiano (ET Fa 2.15 = CIE 8382); successivamente, in avanzata età recente, da più testimonianze dell’area chiusina, e da una di Perugia.”

Vediamo nel dettaglio i due CIE più antichi appena riportati nella citazione di Benelli:

Larece Zuχus Mutus CIE 5037

Si tratta dell’iscrizione più antica in cui sia citato il gentilizio (a parte Zuqu, inizio VI sec., il cui reperto però è andato perduto) e presenta, abbastanza insolitamente per i tempi, una formula trinominale il cui terzo membro potrebbe essere un cognomen o un metronimico. Si trova su di un blocco di tufo appartenente ad una tomba scoperta nel 1879 presso la necropoli della Cannicella di Orvieto, e fu asportato e donato al Museo orvietano dell’Opera del Duomo, dove potrebbe ancora trovarsi.

Larisa Zuχus CIE 8382

Il nome di questo personaggio è scritto con una sottile incisione sul fondo esterno di una coppa di bucchero pesante, rinvenuta nella tomba n° 11 del I sepolcreto di Vallone, una delle poche testimonianze etrusche rinvenute nell’Agro Falisco già dal VI-V sec. a.C., presso Corchiano, che consentono di mettere in relazione questo territorio con genti etruscofone provenienti da Veio, Volsinii (Orvieto) o Chiusi. Nel volume “Per Maristella Pandolfini, cen zic ziχuχe“, a cura di Enrico Benelli, ed. Fabrizio Serra, Pisa – 2014, si trova il “Contributo allo studio della presenza etrusca nell’Agro Falisco – un documento inedito sull’iscrizione Larisa Zuχus (CIE II.2.1, 8382)” della professoressa Laura Ambrosini, che ringrazio per la gentilezza nell’avermi messo a disposizione il suo lavoro e che tratta diffusamente la storia di questo reperto traendo conclusioni interessanti per questa ricerca e di cui farò un riassunto di seguito.

Il reperto venne alla luce nel 1885 e risultò irreperibile nel 1912, quando venne pubblicato nel CIE grazie solo ad una trascrizione (non in copia fedele, ma “normalizzata”) del testo fatta nel 1886 da Adolfo Cozza nella quale la lettera iniziale del gentilizio era la Z ( z ), che venne mantenuta anche in una successiva aggiunta (additamentum) fatta al CIE nello stesso anno dopo il ritrovamento della coppa nella Collezione Crescenzi, a Corchiano, n° 11 del catalogo, con il nuovo apografo (fig. 1) realizzato da Bartolomeo Nogara. Ambrosini, nel suo studio, riferisce di aver rintracciato presso l’Archivio Centrale di Stato di Roma (B.268, fasc. 4687) la tavola realizzata dal conte Alfonso Buglioni di Monale sulla quale, tra gli altri reperti della necropoli scoperta a Corchiano, si trovava anche la coppa con l’iscrizione. Quella tavola doveva servire per una successiva trattazione da parte del conte delle scoperte appena fatte e fu realizzata anch’essa nel 1886 con indubbia perizia e precisione: secondo la professoressa la fedeltà con cui riprodusse l’iscrizione potrebbe avere anche maggiore validità per il fatto che il conte non fosse un epigrafista, meno incline quindi a “normalizzazioni” del testo più o meno inconsce durante la realizzazione dell’apografo (fig. 2). Inoltre bisogna tenere conto che l’aggiunta (additamentum in termine tecnico) al CIE, fatta nel 1912 dopo il rinvenimento del reperto nella Collezione Crescenzi (Feliciano Crescenzi era il proprietario del terreno in cui si trovò la tomba), avvenne 27 anni dopo la sua scoperta e la scritta avrebbe potuto essere stata danneggiata nel frattempo, determinando così una lettura erronea o difficoltosa delle singole lettere. La differenza è ben visibile nelle seguenti figure tratte dal testo di Ambrosini.

fig. 1  Apografo per l’aggiunta al CIE del 1912 di Bartolomeo Nogara (fig. 4 del Contributo allo studio della presenza etrusca nell’Agro Falisco – un documento inedito sull’iscrizione Larisa Zuχus (CIE II.2.1, 8382), Laura Ambrosini)
fig. 2  Apografo del 1886 di Alfonso Buglioni (Archivio Centrale di Stato di Roma, B.268, fasc. 4687) (fig. 7 del Contributo allo studio della presenza etrusca nell’Agro Falisco – un documento inedito sull’iscrizione Larisa Zuχus (CIE II.2.1, 8382), Laura Ambrosini)

Come si può notare la Z ( z ) dell’apografo del 1912 non corrisponde alla lettera dell’apografo del 1886 (oltre ad altre differenze, leggere nell’aspetto ma sostanziali dal punto di vista paleografico, come la A arcaica ed allargata tipica dell’Etruria meridionale ed un trattino sotto alla seconda U, che la fa assomigliare ad una Y, ma potrebbe anche trattarsi di un graffio, la R con il peduncolo). Nel secondo infatti appare una X ( X ) che nell’alfabetario arcaico ceretano rappresentava la fricativa alveolare S o la fricativa postalveolare Ś. In questo caso, essendo presente anche l’altra Ss ) in larisa ed in finale di gentilizio, la lettura corretta dovrebbe essere larisa śuχus. Riguardo al tema delle sibilanti, i cui segni grafici variano nel tempo ed a seconda delle aree, gli etruscologi hanno dedicato molti studi e per chi fosse interessato può trovare un compendio in “Sulla presunta sibilante palatale in etrusco”, Adolfo Zavaroni, “Incontri linguistici” 25 (2002), 87-102, ed in “(s)/(z) (à Volsinies)Gilles Van Heems, Studi Etruschi 69 – 2003.

Per una serie di ragioni paleografiche questa forma grafica riconduce l’oggetto ad un periodo arcaico (700-400 a.c.) dell’Etruria meridionale, comprendente le aree ceretana, tarquiniese-veiente ed anche laziale-falisca, mentre la tipologia vascolare del reperto riporta la cronologia più indietro di quanto di solito si ripete (ad es. Morandi Tarabella scrive IV sec.) fino alla fine del VI sec. – inizi del V sec.

Se l’apografo del 1886 di Alfonso Buglioni venisse confermato da un’autopsia od una foto (sarà il prossimo obiettivo di questa ricerca), potrebbe aprire nuove riflessioni sui contatti tra Agro Falisco, Caere e Volsinii. A Caere infatti la forma sucu è ben attestata in una tomba di un certo livello (necr. Banditaccia), ma dal IV sec., mentre si trova zuχu a Volsinii (necr. Cannicella), nel VI sec., ed a Chiusi nel IV sec., dove si rileva la maggior concentrazione di occorrenze. La presenza di un śuχu a metà strada tra Volsinii e Caere in età precedente a quelle di Chiusi e di Caere potrebbe far pensare che questa sia una forma transizionale tra quella interna più a nord col grafema Z e quella costiera, più a sud e più vicina a popolazioni latine col grafema S e che sia stata l’influenza falisca a fornire il modello che determinò questo cambiamento verso nord (come testimonierebbe Zuconia) e costituire così una prova a sostegno dell’ipotesi del “gentilizio unico, due forme”. Gilles van Heems ritiene che queste variazioni fonetiche per cui la S viene pronunciata in certe posizioni come Z, e successivamente ad estendere questa pronuncia alla S in tutte le posizioni, si siano prodotte soprattutto negli strati più bassi della popolazione e ravvisa una prova di questo fenomeno proprio diverse iscrizioni di Volsinii posteriori al IV sec.: senza carattere di sistematicità, all’interno della stessa iscrizione, e in posizioni simili, si può trovare altrettanto bene sia S che Z. Viceversa nelle iscrizioni arcaiche di Volsinii in cui compare Z sembra che essa avesse il valore originario dell’affricata Z.

Secondo il professor Adolfo Zavaroni invece questa alternanza S/Z riguarda solo pochi casi piuttosto tardi, in epoca di ormai avanzata romanizzazione, ed anzi ritiene che Sucu e Zuχu avessero origine da due radici e due lemmi diversi, con significati diversi, come ipotizza anche il professor Enrico Benelli in una mail con la quale gentilmente rispose ad un mio quesito a riguardo (vd. sotto), cambiando evidentemente idea rispetto alla sua affermazione del 2007.

Oscillazione Z/S

Una delle molte questioni aperte è quella sull’uso dei grafemi che vennero impiegati dagli etruschi per indicare la sibilante: oltre ad essere ben 5 diversi, vennero usati in modo differente a seconda delle epoche e delle zone. Se l’ipotesi dell’unico gentilizio con due forme fosse quella corretta, si aggiungerebbe anche il fenomeno di oscillazione dell’iniziale Z/S che alcuni autori ravvisano in alcuni gentilizi leggibili in tombe più antiche (p.es. nel gentilizio Zalvie/Salvie). In età più recente lo scambio sarebbe testimoniato proprio in casi come Zuχu/Sucue probabilmente poteva dipendere anche dalle versioni locali (dialettali) e dallo sviluppo diacronico di una lingua e di un alfabeto che venivano usati con leggere varianti dagli abitanti di città-stato spesso divise ed in lotta tra loro, senza una forte centralizzazione politica. Come evidenzia il professor Massimo Pittau ne “La lingua etrusca“, ed. Insula – 1997:

“…
§ 20. Quasi certamente la lettera Z indicava una consonante affricata sorda (ts o tz come negli italiani azione, marzo, pozzo); lo fanno intendere queste differenti scritture: Ramθa/Ramza «Ramta»; Uθste/Utzte «Odisseo»; ruz/rutzs «sarcofago»; ciz/citz «tre volte» (§ 73).

A seconda delle diverse località e dei differenti periodi storici non di rado la Z veniva usata al posto della S: Zalvi(e)/Śalvi/Salvie; Zatna/Śatna/Satna; Zemni/Semni; Zertur/Śertur/Sertur; Velzu/Velśu/Velsu (gentilizi); Selvanzl/Selvansl «di Silvano»; Utuze/Utuse «Odisseo»; zal/sal «due»; murs/murzua «urna-e».”

Per quanto riguarda l’uso etrusco della Z, e la sua resa in latino, in “IL VASO ISCRITTO DALLA NECROPOLI DI MAGLIANO SABINA, contributo ai rapporti tra l’ambiente falisco e quello sabino arcaico“, Paolo Poccetti, Fabrizio Serra editore – 2008, (testo importante per la mia ipotesi, che consiglio di leggere per intero) a pagg. 31-32 si dice:

“…In ogni modo, dal quadro della distribuzione del segno <z> nella documentazione etrusca si è indotti alla conclusione che a tale segno non corrispondesse in etrusco un’unica realizzazione,10 ma che, invece, siano da ascrivere almeno due fondamentali ranghi di impiego : 1) per indicare una fricativa apico-alveolare (con cui si giustificano le alternanze con gli altri segni per le ‘sibilanti’ dell’etrusco e le trascrizioni latine) ; 2) per indicare una affricata succedanea all’evoluzione dei nessi con occlusiva dentale dy- e qy-.”
10 Come, invece, conclude apoditticamente Bonfante 1968, p. 64 : « mi par certo che in la z in etrusco avesse il valore di ts (it. pazzo) »

e più avanti, a pag. 35:

“…
È pur vero che la presenza di <z> (non solo in fine di parola) mostra in ambiente falisco un particolare addensamento nei nomi che hanno circolazione – se non origine – in area etrusca (es. Zuconia ; Velzu ; Morenez, tutti riconducibili a provenienza etrusca : cfr. Zuχu ; Velzna ; Murena). A tale impressione poteva sospingere la vistosità del fenomeno nelle iscrizioni della necropoli di Corchiano, che mostra uno spaccato di ‘falischizzazione’ dell’onomastica etrusca con interessanti fenomeni di integrazione onomastica e di interferenza linguistica. Al proposito, merita ricordare il rilievo già fatto dal Peruzzi, che l’origine dei gentilizi presenti a Corchiano è circoscrivibile entro un’area che non si dilata molto oltre il bacino del Tevere: « i gentilizi sono concentrati massicciamente in prossimità del Trasimeno, nell’area di Montepulciano, Città della Pieve, Castiglione del Lago. Rispetto a tale distribuzione nell’agro chiusino, le pochissime testimonianze di Montaperti, Asciano e Lucignano sono chiaramente eccentriche ». Queste circostanze non sono, tuttavia, sufficienti per far ascrivere meccanicamente ad origine etrusca l’impiego di <z> in luogo di <s> in considerazione del fatto che le attestazioni falische sono cronologicamente antecedenti all’apparire del fenomeno in ambiente etrusco e tale fenomeno si presenta già in età arcaica anche in nomi che non sono di origine etrusca (es.Zextos). Questi elementi hanno legittimamente indotto, al contrario, a presumere un’irradiazione del fenomeno dal falisco verso gli ambienti etruschi finitimi.”

Il professor Bakkum, nel suo monumentale lavoro sulla lingua falisca, dice: 

“…
+
(4) adaptations of Etruscan gentilicia in -u. These names are a category that does present morphological difficulties, and therefore had to be adapted in some way in order to be declined. Apparently, the nominative in -u was comparable to the nominatives in -o of the ōn-stems in (§4.5.1.3), and the usual way of Latinizing these gentilicia was therefore by means of -u -onius. Faliscan examples of this are Aconius, Atronius, Fullonius, Sacconius, Sapnonius, Seruatronius, and Succonius, and possibly Decon…. Yet Faliscan has two names where the Latinization was apparently by means of -u-onus, Viconus and perhaps also Praeconus. This adaptation is in a sense comparable to the adaptation -na → -nus described above under (2). Related as well appears to be Folcosius, with -u -osius→. A different, and simpler type of adapting these names, occurring also in Latin, is -u → -ius, as in Cincius. Unclear is Laepuius: it looks as if this was adapted by means of -u-uius.” (pag.279)
+ “…Zuconia is an adaptation of the Etruscan gentilicium Zuχu according to the usual pattern -u → -onius (§7.8.2.4). The Etruscan gentilicium also occurs at Corchiano, in Larisa Zuxus Etr XXXII (late sixth century): the Faliscan form is found at Civita Castellana in Uel Zu[con]leo MF 56.” (pag.329)
++ 56-57. The following inscriptions are both from Cozza & Pasqui’s tomb X.
+56. Painted in red on plaster on a tile fragment.
luelzu[2][con]
leo:fe[2][cupa]
Sinistroverse, Faliscan alphabet. The o is . It is unclear whether the … preceding uelzu in Cozza & Pasqui’s transcription indicate traces, vacant space, or a missing tile preceding the text. Herbig read uelzu as a praenomen Volso, which was adopted by all other editors. I would rather restore the text as uel zu[con]leo : fe[ cupa], or, assuming that more than one tile is missing at the end, as uel [zuconeo —]leo : fe[ cupa ?—]). The praenomen uel occurs e.g. in MF 82 (cf. also §7.7.1.80) and the gentilicium zu[con]leo in zuconia MF 271: cf. also larisa zuχus Etr XXXII and §7.8.1.148. The use of the interpunct in Faliscan inscriptions is not so consistent that its absence after uel and zu[—] can constitute an argument against this. The hypercorrect spelling fe for he(c) occurs also in MLF 305: see §3.5.2.
Bibliography: Cozza & Pasqui 1887b:272 (autopsy); Conway 1897:375 (x1.25); flerbig 1910:187 (25); Herbig CM 8176; Vetter 1953:297 (275a); G. Giacomelli 1963:76 (72,II). Transcription: Cozza & Pasqui 1 887b:272 (reproduced in CIE 8176). (pag. 433)
+57. Painted in red on plaster on a tile fragment.
calin[—]
rezo[—]
Sinistroverse, Faliscan alphabet. The r appears to be rather than r : see §11.2.4.2. Herbig restored the first line as calin[ia, with rezo as a genitive. I wonder whether the ca is not rather the frequent abbreviation ca = Gauius. As z is more common at the beginning of words (§11.2.4.3, §3.5.3), rezo[—] is probably to be divided as [—]lre zo[—]. Zo[—] could perhaps be zo[coneo] or zo[conea], a further adaptation to Faliscan of the gentilicium zuconia MF 271 (and perhaps zu[con]leo in MF 56), which is itself an adaptation of the Etruscan gentilicium Zuχu in larisa zuχus Etr XXXII see §7.8.1.148.
Bibliography: Cozza & Pasqui 1887b:272 (autopsy); Conway 1897:375 (x1.26); Herbig 1910:187 (25); Herbig CIE 8177; Vetter 1953:297 (275b); G. Giacomelli 1963:76 (72,II). Transcription: Cozza & Pasqui 1887b:272 (reproduced in CIE 8177). (pag. 433) 
+148. Succonius. f. Zuconia MF 271, probably also m. Zu[con]leo MF 56, perhaps also [—ue?]l Sul[con—] MF 191. Cf. Larisa Zuxus Etr XXXII. Latin Succonius: the name is an adaptation of Etruscan Sucu (from Caere: sucus Cr 1.152, 1.155, 1.172, 2.31, sucui Cr 1.100) or Zuχu (mainly from Clusium: Zuχu Cl 1.1619, 1.1769, 1.1770, 1.2173, Zuχuš Cl 1.1771; Zuχus Vs 1.136, Zuχuš Pe 1.965). A Socconia Voluptas occurs in CIL XI 3223 from Nepi.” (pag. 273). (vd. in EVO ANTICO).
+271. Scratched along the length of the front of a tile (64.5×47.5; letters 7-11 cm high).
poplia
zuconia

Sinistroverse, Faliscan alphabet. Zuconia is an adaptation of Etruscan zuχu, attested at Corchiano in zuχus Etr XXXI and perhaps in zu[con]leo MF 56 from Civita Castellana.
From autopsy in the Museo di Villa Giulia, Rome (inv. 9552). Bibliography: Herbig 1910:185-6 (23) (autopsy); Jacobsohn 1910:6 (43); Herbig CIE 8385; Vetter 1953:317 (330): G. Giacomelli 1963:100 (130) (autopsy); (Dohrn in Helbig/Speier 1969:6745 (2752)); Fl II.2 p.303 (autopsy); Cristofani 1988:18; Peruzzi 1990:278-9. Photograph: G. Giacomelli 1963 tav. VII. Drawing: Herbig CIE 8385. (pag. 526).
+XXXII. Scratched on the outside of a fragmentary bucchero vessel (“a forma di scodello” Cozza 1886:155; “[tazza] a calice” Fl II.2 p.252), from tomb 11 of the first necropolis of Il Vallone, Corchiano. Late sixth century (Colonna).
larisazuχus
Sinistroverse, Etruscan alphabet. The gentilicium zuχus occurs in its Faliscan adaptation in zuconia MF 271, also from Corchiano, and perhaps in zu[con]leo MF 56 (from Civita Castellana).
Bibliography: Cozza 1886:155 (autopsy); Herbig 1910:185 (22) (autopsy): Herbig CIE 8382; G. Giacomelli 1963:63 (45); Peruzzi 1964e:227; F! 11.2 p.252 (autopsy); Cristofani 1988:23 (ID; Colonna 1990:120; Petruzzi 1990:278: Rix ET Fa 2.15. Transcription: Cozza 1886:155 (reproduced in CIE 8382).” (pag. 602).

cit. “
The Latin Dialect of the Ager Faliscus: 150 Years of Scholarship, Volume 1“, Gabriël C. L. M. Bakkum, ed. Amsterdam University 2009, consultabile anche qui.

Il tema viene trattato anche in “Il vaso iscritto nella necropoli di Magliano Sabina” 

2) Due gentilizi diversi

In una mail del 2019 il prof. Enrico Benelli (che ringrazio per aver pazientemente risposto alle mie domande) dimostra di aver cambiato idea, rispetto al 2007, o forse semplicemente il progredire dei suoi studi gli ha consentito di precisare meglio un’ipotesi che ancora non si sentiva di pubblicare (la distinzione dei colori del testo per sottolineare la differenza tra probabile e certo è mia):

  Benelli : ” * i due gentilizi etruschi, per quanto foneticamente simili, hanno probabilmente origini diverse.

 # Sucu si analizza in Suc-u, cioè è un gentilizio in -u (con il formante probabilmente più antico esistente nella lingua etrusca, più antico anche di -na, e condiviso con il retico, dal quale l’etrusco si distacca in epoca piuttosto risalente); la radice Suc- è molto produttiva nell’antroponimia etrusca (per esempio, doveva esistere un nome individuale Sucis su cui è formato il gentilizio Sucisna, ecc.) e la sua concentrazione nell’estremo sud della regione ha fatto pensare che la base possa essere di origine latina (quale, però, non è chiaro).

 # Zukhu (con la velare aspirata, resa dal segno del khi) è invece probabilmente un asuffissato (cioè Zukhu-0, senza suffisso derivativo), come mostra la forma latinizzata Succonius (e il raro chiusino Zukhni è probabilmente retroformazione analogica, come accade anche in altri casi simili nella sola Chiusi). E’ altamente * probabile (come per tutti gli antroponimi asuffissati) che Zukhu fosse una parola con un qualche significato, che però ignoriamo, perché come tale non è mai attestata, salvo un isolato zukhne nella tegola di Capua, che dovrebbe essere un verbo, ma cosa significhi in concreto non è chiaro, a parte farci sospettare che zukhu sia un participio.

# Si tratta quindi di due cose diverse, derivate da radici diverse, per le quali è impossibile proporre una traduzione, mancando le circostanze contestuali, che sono l’unica guida possibile per capire i campi semantici delle parole etrusche.” 

La prudente e rigorosa lettura del professor Benelli, che mi sento di condividere, non lascia spazio alcuno alla possibilità di conoscere il significato di Zuχu/Sucu direttamente dalla raccolta di lessemi etruschi fino ad oggi rinvenuti, a patto di seguire il metodo di traduzione di questa lingua oggi più accettato dalla comunità scientifica:

metodo ermeneutico o combinatorio il quale, prescindendo dalla possibile esistenza di affinità con altre lingue (metodo comparativo) ed anzi opponendosi a qualunque ricerca in tale direzione, mira a tradurre l’etrusco concentrandosi esclusivamente sullo studio delle relazioni interne fra i singoli elementi dei testi, e di quelle fra i testi e i loro contesti materiali e culturali (tipologie di oggetti, collocazione, periodo storico)” (cit. Alinei).

Una delle caratteristiche di questo approccio è quella di accettare i limiti che spesso si pongono come invalicabili ad una traduzione letterale e metodologicamente comparativa dei testi, rinunciando così a proporne alcuna per concentrarsi piuttosto su di una maggiore conoscenza dell’ambito semantico e del contesto culturale nel quale trovarono la loro collocazione, considerando quest’ultimi più importanti del preciso significato letterale di ciascuno di quei testi ai fini della loro comprensione.

Pertanto l’ipotesi che le radici zuχ- e suc- siano due varianti grafiche e locali del medesimo lemma, sostenuta dal professor Tarabella e da altri, non è condivisa da tutti anche per motivi diversi da quelli proposti dal professor Benelli.

A differenza di quest’ultimo, ad esempio, il professor Adolfo Zavaroni, che ringrazio per la disponibilità e la gentilezza nel rispondere alle mie domande, ritiene che il 90% del lessico etrusco abbia un’origine indoeuropea (Zavaroni concepisce l’etrusco come lingua franca o pidgin) e che quindi sia relativamente facile da tradurre, ma sostiene anch’egli che i due gentilizi abbiano origini diverse spiegabili attraverso le regole dell’evoluzione linguistica degli idiomi derivati dall’indoeuropeo. Così in uno scambio di mail del 2020:

“Benelli ha ragione nel dire che sucu e zuχu hanno radici diverse: sucu ammette una radice * seg- (causativo * sog-) o * seug-. (Invece per la radice zuχ- vd. sotto).
A mio avviso i titoli funerari larθi sucus rupsai (REE 51 n.45) e mi lareces zuχus mutus śuθi (CIE 5307 ) mostrano che sucus non ha nulla a che fare con zuχu.
Nel primo abbiamo tre sibilanti sorde /s/. Sucus funge da cognomen del padre e rupsai è il gentilizio (non viceversa!) rupsai è italico e richiama i perfetti indicativi sigmatici, sebbene in lat. si abbia rupi invece di rupsi ’ho rotto’. Il lessema rup- ’rompere, spezzare’ è presente anche in ligure. A mio avviso, l’ipotesi che in etrusco il cognomen sia molto spesso semanticamente correlato col gentilizio e a volte formi con esso dei nomi di famiglia composti (come it. pietranera, buonfiglioli ecc.) è molto utile per trovare il senso di moltissimi lessemi. Quindi se si suppone che sucu sia correlato con rupsai, l’unica soluzione è che a differenza dei nomi etruschi derivanti da un tema * suci- ’cercare’ presente nel Liber linteus e riconducibili a * seg- (> germ. sōg-) ’segare’, sucu derivi da ie. * sek- ’tagliare’ (causativo * sok- da cui si ebbe germ *sag-) che però non subì il mutamento consonantico /k/ > /h/ o /χ/, probabilmente perché fu acquisito da una lingua italica non prima del VI sec. a.C. Quindi larθi sucus rupsai è “Larthi Spezzatori (figlia) di Segatore” (i nomi potrebbero anche non essere nomi d’agente, ma di esito di un’azione: “Spezzati” “Segato”).
Purtroppo il nome mutu negli altri titoli non è associato come cognomen a dei gentilizi. L’esame di un solo caso ha una probabilità bassa di verità. Applicando le regole del mutamento consonantico da ie. ad etr. (in cui si ha t < d; θ < t e dh) dovremmo derivarlo da una radice *mod- che (semplifico) è variante di *med- ’misura, regola, determinazione’: cfr. lat. modus e modulus ‘unit of measurement’. Come cognomen di zuχu ’che fissa, stabilisce’, mutu ’che determina, regola, misura’ sarebbe idoneo. Quindi il pene (mu(t)tō, -onis) non c’entra”.

(nota mia: Zavaroni ritiene che, quando presente, il secondo gentilizio o il soprannome servano a ribadire e “tradurre” il primo gentilizio per implementarne il significato e renderlo meglio comprensibile in un contesto di progressiva romanizzazione dell’Etruria).

CONGETTURE

La discreta diffusione del gentilizio, nel caso non fosse dovuta a soggetti tutti più o meno lontanamente imparentati, testimonierebbe un uso abbastanza comune del soprannome, il cognomen, da cui il gentilizio, il nomen, ad un certo punto discese e si fissò su nuclei famigliari anche geograficamente e temporalmente lontani tra loro: è quindi plausibile pensare che derivasse da una parola di uso comune, ma come tale compare nell’ambito di testi più lunghi di una semplice epigrafe sepolcrale solo in due casi per la radice zuχ-: zuχuna e zuχne; due per la radice zuc-: zuci e zucre; ed in tre casi, tutti presenti nel Liber Linteus (LL) della mummia di Zagabria, per la radice suc-: śuci, śuciva, śucri; un quarto caso potrebbe essere legato al termine ścunueri, sempre nel Liber Linteus, ma con rimandi ai termini ścuna, eścuna, χuna, presenti nel Cippo Perugino ed in vari altri frammenti, solo nell’ipotesi che la radice ścun- sia l’esito di una sincope con caduta della prima -u- atona di una forma estesa śucun-.

Come già anticipato, a causa di questa scarsità di evidenze, allo stato attuale è impossibile tradurre direttamente la radice (ed i lemmi che ne sono derivati) dall’etrusco perché qualsiasi significato proposto non avrebbe la possibilità di conferme contestuali disparate, come sostiene il professor Benelli nella sua mail. Ancorché la sua analisi ermeneutica sia giustamente prudente e non proponga traduzioni per evitare di affidarsi al metodo comparativo e di ricorrere ad eventuali derivazioni da radici protoindeuropee e non, egli ritiene ugualmente di potersi sbilanciare nell’ipotesi di distinguere sucu da zuχu per significato e derivazione.

Spesso in campo linguistico in generale, ed etruscologico in particolare, ci si deve fermare ad esporre ipotesi senza certezze assolute: per questo motivo penso di poter prendere qualche spazio (poco, in verità, e sicuramente opinabile) per proporre altri punti di vista, almeno fino a quando prove più evidenti non consentiranno affermazioni definitive. Non bisogna dimenticare che in molte lingue parole scritte con identici grafemi vengono poi pronunciate in modi differenti con differenti significati, oppure assumono significati diversi a seconda del contesto e del periodo storico in cui vengono utilizzate. Inoltre le regole che valgono nella mutazione diacronica e diastratica dei vari vocaboli di un lessico, non è detto che attivino una mutazione anche negli antroponimi che da quei vocaboli sono derivati e che spesso, infatti, si comportano come “fossili” cristallizzati per conservare più un’appartenenza che un significato: ognuno di noi porta in genere un nome e/o un cognome di cui sovente non conosce il significato originario e, se gli piace e si appassiona, deve condurre ricerche come questa per scoprirlo; in alcuni casi si tratta poi di antroponimi (più spesso cognomi) che suonano offensivi o ridicoli, eppure molti di noi ne vanno ugualmente fieri per senso di appartenenza, a riprova del fatto che, quando una parola diventa un totem, il suo significato originario conta meno di quello simbolico.

Dati conosciuti

Credo sia quindi possibile cercare di fare qualche ipotesi sulla base di alcuni dati conosciuti:

1) la Z iniziale è quasi sempre associata alla Χ (tranne Zuqu e Zucenas, le forme più arcaiche e poi zuci), mentre la S lo è alla C (tranne Sukisna, la forma più arcaica);
2) la coesistenza in alcuni casi quasi contemporanea di iniziale Z con iniziale S in città non lontane non è decisiva per stabilire se si tratti di due lemmi d’origine diversa, ma ne aumenta la probabilità;
3) la concentrazione delle occorrenze Z nella zona più interna e lontana dall’ager latinus fa pensare che verso la costa e più a sud ci fosse un’influenza latina, ma la forma più antica di tutte finora scoperta inizia per S ed alcune forme in S si trovano più a nord, vicino ad Arezzo, in pieno territorio storicamente etrusco;

e grazie alle indicazioni del prof. Massimo Pittau in “La Lingua Etrusca: Grammatica e Lessico“, consultabile nel sito “Quotidiano Honebu di Storia e Archeologia“, diretto da Pierluigi Montalbano:

“…
I
n etrusco il gentilizio, che – ripetiamolo – indicava la gens o la famiglia allargata, veniva formato secondo due modalità principali:
1) Trasformazione di un prenomen in gentilizio per mezzo di due suffissi aggettivali: ie, coi prenomi Cae, Vel, Vipe, Tite, gentilizi derivati Caie, Velie, Vipie, Titie (cfr. l’analogo suffisso lat. –ius; indeur.); e -na, coi prenomi Velϑur, Vipe, Marce, Spurie, gentilizi derivati Velϑurna, Vipina, Marcena, Spurina.
2) Trasformazione di un cognomen in gentilizio: etr. Acrate, Campane, Latini, Senate = lat. Acerratius, Campanius, Latinius, Senatius (in origine erano tutti cognomina che significano rispettivamente «nativo di Acerra, della Campania, del Lazio, di Siena oppure di Senigallia». Nel caso di individui, di entrambi i sessi, che risultavano discendenti da due differenti e ragguardevoli gentes, nella propria denominazione essi potevano fare uso contemporaneo dei due gentilizi”. 

Dato che i prenomi etruschi conosciuti non sono molti e tra di essi non ne figura alcuno con radice zuχ-/suc- (tranne forse un Sucis segnalatomi dal prof. Enrico Benelli solo come ipotesi in seguito all’esistenza del gentilizio Sucisna e che il Pittau considera derivare dal termine: suci = “profumo, essenza”) è * lecito pensare che Zuχu sia derivato da un cognomen, un soprannome, un nomignolo che di solito indicava la provenienza geografica, il mestiere o qualche caratteristica fisica o morale, oppure ancora un ramo collaterale della gens od infine l’essere stato un individuo affrancato dal suo vecchio padrone.

Per quanto riguarda la desinenza in -u, essa può indicare un suffisso sostantivante…

“…
che corrisponde a quello latino –o,-onis e molto probabilmente veniva pronunciato nasalizzato, cioè *-unacilu, operaio(?); kurpu, buffone; maru, marone; scurfiu, scorpione; suplu, flautista; fulu, fullone” (cit. Pittau, ibidem), oppure un “participio passivo che nel corpus della lingua etrusca risulta molto documentato, il quale però coi verbi intransitivi ha valore medio. La sua desinenza è -u/v(e) ed è invariabile, cioè valida per il maschile e il femminile, per il singolare e il plurale” ed “alcuni di questi participi risultano usati come ‘aggettivi’ e così si spiega come anch’essi siano indeclinabili (gli aggettivi non venivano declinati come invece succedeva in latino ed in greco, ndr.)” (cit. Pittau, ibidem).

Pertanto è * probabile che la radice zuχ-/suc- appartenesse o ad un verbo coniugato al participio passivo o ad un aggettivo sostantivati (nomen agentis) per trasformarli in un cognomen da cui, in seguito, sarebbe derivato il gentilizio (così come ziχu significava “ha scritto” da ziχ– = “scrivere” + –u, da cui il sostantivato ‘scrittore/scriba’ < scribonius). Una lunga trattazione sulla funzione della desinenza -u è presente ne Il verbo etrusco“, Koen Wylin, ed. L’Erma di Bretschneider, a cui rimando per approfondire la questione (che non è affatto scontata).

Tentativi di traduzione

1) ZUXUNA

a) Nel primo caso, zuχuna (TLE 878; ET, Cr 4.10; ThLE¹²; CIE 6310; sec. VI-V) è una parola ben leggibile che viene incisa su di una placca metallica, la tabella defixionis di Santa Marinella che viene così tradotta dal Pittau:

“MMMCCC LANXUMITE [—-] PULUNZA IPAL ŚACNITALTE [T]INIA TEI AΘEMEIŚCAŚ ZUXUNA ZA[NŚL] ŚACNITALTE <ŚACNITALTE> ŚIXUT-[-?-] [-?-]A ICECIN ΘEZI IPE[RI] UNU RAPA XUM[ENE —]UMNLE MENATINA TEI UMN[—] [-?-]UTIPAS RINU[—] CVER MULVENI[-?-] UN[E] HELUCU ACASA TEI LURUS [-?- -?-]-AV NUNA[R] NUNΘENA TE[I -?- ——] SICE LANXUMITE ICANA [——]ΘE HUN/P[—–]-L NUNΘENA [F]ASEI TESA NACxxCE MULVE[NI -?- -?-] SURT[I]NA VACIL C-[-?-]-A MLAKA[S –]AMA [LANXUM]ITE ICEC[IN] CIVEIS M[-?-] —- IM[—]NUZA H[-?- -?-]N/RI UNUŚE HA[N]U EI ZURVA TA[N] -T RIN[–]V AΘEMEICAN SXUINIA IPA[L U]NXVA MLACIΘA HECIA IPERI APA-[-?-]TRAS N-[-]NIE NACAS SURVE CLESVARE [-?- -?-]N ΘESU NAMULΘ AME
– TRADUZIONE  (con i guasti del testo):
MMMCCC (abbreviata formula magica) – Il Lancinante (la scuoi come una ?) pollastra in esorcismo di costei a quel Tinia, quello iniquo (Calus), in compagnia della genitrice in esorcismo seguente la stessa ad immolazione per queste ragioni (sarà) effettuato il (suo) rapimento minaccioso per lei con fune [ ] (o Calus) offri(la) come vittima!, rendila mentecatta!, avendo adoperato su di lei lo scudiscio, le (sue) regalie respingi! per lei (sia) col coltello il Lancinante capace; respingi il (suo) pane!, comanda! [ ] offri [ ] un rito inascoltato — offrendo [ ] il Lancinante la stessa del compatriota (dell’inferno) [ ] come pena il tempio non accolga costei! —- (non accolga) l’iniqua giuncaia di costei, le (sue) offerte, la donatrice come feccia per queste ragioni [ ] infila(la) nel chiuso di una pelle e immolata nel Fiume (Stige) sia!

AΘEMEICAN: (AΘEME-ICAN) probabilmente «l’iniqua», letteralmente «quella iniqua» (in accusativo articolato), da confrontare col greco áthemis «illecito, illegale, iniquo».
AΘEMEIŚCAŚ: (AΘEMEIŚ-CAŚ) probabilmente «dell’/all’iniquo», letteralmente «di quello iniquo» (in genitivo articolato). [T]INIA TEI AΘEMEIŚCAŚ «a quel Tinia, quello iniquo». Per gli Etruschi dunque probabilmente esistevano due Tinia, uno buono e l’altro iniquo e questo era Calus, il dio degli inferi e dei morti. Anche se a questo nella presente defixio sono rivolti inviti e richieste, con altrettanti imperativi, non viene mai nominato esplicitamente per motivi di scaramanzia. [T]INIA TEI AΘEMEIŚCAŚ «a quel Tinia, quello iniquo» (Calus).
{CALUS (sottinteso dio degli inferi o del mondo dei morti, corrispondente a quello greco Plutone o Ade AITA), al quale in questa defixio in maniera implicita sono rivolti inviti e richieste con altrettanti imperativi. CALUS (TCap 15) probabilmente è da confrontare col lat. *calus «oscuro», donde caligo,-inis «fumo, vapore, nebbia, caligine, tenebra, offuscamento, vertigine» (finora di origine incerta; DELL, DELI) e inoltre coi tosc. calena, calina «caligine, nebbia secca dei mesi estivi», toponimo Caléno (TTM) e inoltre coi (proto)sardi trígu calínu «grano afato, danneggiato e annerito dalla nebbia», gálinu «gracile, smilzo» (OPSE 205; LISPR 210; DICLE)}.
SXUINIA: «giuncaia» (probabilmente nel significato dispregiativo di «gentaglia»), da confrontare col greco sχoiniá «cespo di giunco», finora di origine ignota (DELG) e quindi “fitonimo mediterraneo”. AΘEMEICAN SXUINIA IPA[L «l’iniqua giuncaia di costei».
ZUXUNA: forse «società, sodalizio, compagnia, comunità» (?). ZUXUNA ZA[NŚL] «in compagnia della genitrice»”.

Rispetto al suo Dizionario della Lingua Etrusca, nell’edizione del 2005, questa traduzione, del 2017, riporta un significato diverso della parola AΘEME-ICAN/-IŚCAŚ, che nel primo veniva tradotta con “vaso” inteso come “vaso per i sacrifici, le libagioni”, e quindi con un significato abbinabile a ZUXUNA inteso come “sacrificio cruento, libagione”, e qui invece come “ignobile” scegliendo una derivazione del termine dal greco ed abbinandolo a [T]INIA TEI. Esiste però anche un’altra parola che inizia con aθ-V-m: AΘUM- che, nel caso del Cippo di Perugia (vd. sotto), viene tradotta con “signore, nobile”, rendendo ancora più complicata l’interpretazione di questo termine.

Questa traduzione tuttavia, a mio modesto parere, non esclude che ZUXUNA, essendo associato alla parola ZA[NŚL] che il Pittau stesso traduce con “genitrice”, possa essere il gentilizio/patronimico della genitrice di cui si parla dato che non solo il senso generale non sarebbe stravolto, ma addirittura la maledizione avrebbe il nome del soggetto a cui/da cui viene rivolta! (cosa che si verifica sempre nelle defissioni e sarebbe strano mancasse solo in questa). 

Fig. 3. Apografo della lamina plumbea di Santa Marinella. Nella seconda riga è ben leggibile zuχuna.

Tuttavia, come si può vedere nella figura 3, la lamina di Santa Marinella è talmente frammentaria da non consentire certezze sulla sua ipotesi di traduzione, se non genericamente per considerarla come oggetto devozionale/augurale, stante anche il suo ritrovamento in un contesto templare. Inoltre consta di due frammenti separati (a destra ed a sinistra, vengono mostrati recto, sopra, e verso, sotto, di ciascuno) senza riferimenti certi sull’ordine di successione in cui vadano integrati e letti, ed infatti posso riportare anche un’altro tentativo di traduzione esperito dal ricercatore Massimo Penna nel suo PDF release 1.1, intitolato “Santuario etrusco di Punta della Vipera. Riflessioni ed ipotesi di traduzione del testo etrusco della lamina plumbea colà rinvenuta“, giugno 2020, pubblicato nella sua pagina ELEMENTI DI LINGUA E SCRITTURA ETRUSCA, nel quale si propongono due versioni, a seconda di come si individui quell’ordine di successione:

“LATO A
1a •MMMCCC LANCHUMITE •
3300 (voti?) L’armata di lancia (Menerva)
2a [–]INIA • TEI • ATHEMEIŚCAŚ • ZUCHUNA • ZA[–] (–)inia a questa nobilmente vittime animali in n° di 10
3a [–]A • ICECIN • THEZI • IPE[–] UNU • RAPA • CHUM[–] come sacrificio ciascuno deponga con cura
4a [–]UT IPAS • RINU[–] …… CVER • MULVENI[–] disponga ognuno (e) presenti il dono in offerta
5a [–]AV • NUNA[–]…… NUNTHENA • TE[–] (poi) offra il sacrificio (e) dedichi
6a [–]THE • HU(P)N[INA]L • NUNTHENA [–] ai repositori, libagioni/sacrifici
7a [–]CHUR • T[uti)NA • VACIL • C[–] (questo) con pienezza la comunità doni
8a [–]ITE • ICEC[–]A ……• CIVEIS • M[–] e come ….
9a [–]NI • UNUŚE HA[TRENC]U • EIZURVA • TA[–] quindi propizia agli antesignani (grandi)
10a [–]NCHVA • MLACITHA • HECIA • IPERI • APA[–] (il complesso) delle offerte dona a favore degli antenati
11a [–]ATHESU NAMULTH AME •
fai offerte come è stabilito. 

LATO B
1b [–] PULUNZA • IPAL • ŚACN[–] … splendide dove sacramente
2b [–]ITALTE • ŚACNITALTE • ŚICHUT[–] questi (offri e) nel Santuario (officia)
3b [–]UMNLEŚ[–] • MENATINA • TEI • UMNI[–] con cura disponi e offri a questo (impianto)
4b [–]U[–]U[–]HELUCU • ACASA • TEI • LURUR[–] (ognuno) doni le proprie offerte a questo (Santuario) con merito
5b [–]TE[–]CICE • LANCHUMITE • ICANA • [–] dedicando alla (dea armata) di lancia (Menerva) questo
6b [–]ASEI • TESA • NACN[–]CE • MULVE[–] 8 (e) pani è comandato con magnificenza offrire
7b ([–]PA • MLAKA[–]AMA • [–] questo che bello sia.
8b [THE]ZI [ • AMA • IM[–]NUTA • H[–] Il sacrificio sia fatto qui
9b [–]T • RINU[–]V • ATHEMEICAN • SCHUINIA • IPA[–] dedica offri generosamente deponi dove
10b [–]ZRAS • N[–]NIE • NACARSURVECLES VARE[–] (giacciono coloro) ché sono stati allontanati”.

E nello stesso PDF di seguito la traduzione di una seconda versione del testo, ottenuta ordinando diversamente la successione delle facce dei frammenti che lo compongono, la stessa utilizzata dal Pittau per la sua traduzione. Dice il Penna:

“I segni: *, °, ^, indicano approssimativamente 3 livelli di affidabilità accanto ciascuna parola del testo.
* (buona), ° (discreta), ^ (incerta) Integrazione logica

LATO A:
…*OOO000 °Lanxumite . ([—] *pulun za . *ipal . °sacx[ /…(X)inia .
MMMCCC 3300(voti?) L’armata di lancia (Menerva) splendidi chiunque sacra/mente
*tei . °athem *eis(nevc) *ca . *zuxuna . °zathumz?[-]( x) °xtalte . °šacnitalte . ^šiχuxx[] a questa nobilmente ciò (dedichi) sacrifici animali 20 volte questi (consacrando) nel Santuario (offici?)
°ic °ce °in *thezi °ipexx ….unu ^rasa ^xumxxx ^umnle[..]x[..]*menatina . °texxxunx[
come questa stessa offerta ciascuno deponga con cura (e) disponga
] v °ipas . ^(xin[………] *cver . *mulvene [—] °xus . -u–°helucu . *acasa . *tei . ^urux[
ciascuno ogni dono come offerta il proprio, doni la propria offerta a questo (Santuario) con merito
…. ]θe . °hup[nina]l . °nunθena . —°f]ašei . *tesa . °nacx(x)ce. *mulv[
ai repositori, libagioni/sacrifici e pani è comandato con magnificenza offrire
… ^[xur . °t[uti.]na . *vacil . ^cx[—]pa . *mlaka [….]*ama.
E con pienezza la comunità doni… questo che bello sia. 

LATO B:
^]ite .°icec[……] ^civeis . ^m[—]xiama . ^imx[…]nuta : ^h[(eva?)
e come qui
]x(x) . ^unuše . °ha[tren]xu . °ei(t)-°zur-va . ^tx[—]x . °rin[…]v . °aθemeican . °sχuinia . *ipx[
quindi propizia agli antenati grandi dedica generosamente deponi dove
^]xnχva . *mlaciθa . *hecia . °iperi . *apax[—]txas . ^x[..]xnxe . °nac °ars urve ^clesvare[
insieme i doni deponi a ciascuno degli antenati/antesignani maggiori poiché allontanati ora riposano
]xθ *escuna *mulθ *ame
dona/fai offerte come è stabilito”. 

In questa interpretazione AΘEMEIŚCAŚ/AΘEMEICAN vengono tradotti come avverbi dell’aggettivo “nobile, generoso” senza che il senso del testo venga stravolto e perda di coerenza interna. La parola incompleta [–]INIA nella seconda riga potrebbe essere la terminazione di SΧUINIA (tradotto con “deponi” dal Penna ed in modo più problematico “giuncaia” dal Pittau), che si trova accanto ad AΘEMEICAN anche in riga 9b e potrebbe costituire il binomio di una formula codificata “nobilmente, generosamente deponi” di cui ZUXUNA costituirebbe l’oggetto da deporre/offrire.

b) Nel secondo caso zuχuna (ET Cr 1.197) compare nell’iscrizione 1 della Tomba delle Iscrizioni Graffite, collocabile nella seconda metà del VI sec. a.C. Nell’articolo: “La scrittura e la tomba: il caso dell’Etruria arcaica” del 2015, il professor Colonna presenta così la tomba in questione:

“…
Nello spazio rimasto libero al centro del ‘giro’ è stato costruito verso il 525 il dado accogliente la Tomba delle Iscrizioni Graffite, riferita dalla lunga iscrizione interna che ne commemora il rito di fondazione compiuto dalla vedova, a un Larice Veliinas, che con ogni probabilità è il padre del famoso Thefarie Velianas/Veliiunas divenuto « re » di Caere, fatto conoscere dalle Lamine di Pyrgi27. Il che ha consentito di riconoscere nel personaggio, contro le aspettative, il rampollo di un’antica casata, con ogni probabilità estinta con lui o costretta all’esilio, alla pari dei Tarquinii di Roma.”

Di questo importante reperto si parla inArcheologia in Etruria meridionale: atti delle giornate di studio in ricordo di Mario Moretti“, AA. VV., a cura di Maristella Pandolfini Angeletti, ed. Erma di Bretschneider – 2006, nell’intervento di Giovanni ColonnaCerveteri. La Tomba delle Iscrizioni Graffite“, pag. 419, ed è la seguente, riportata anche in “Constructing the Etruscan Clan. Funerary Inscriptions and Familial Structures at Archaic and Classical Tarquinia and Caere“, 22/05/2017, pag.14, ed in “Problemi di vocalismo etrusco arcaico, la geminazione di <ii>“, Valentina Belfiore, Actes du IV Séminaire sur les langues de l’Italie preromaine, Lyon – 12/03/2009, pag.54, dove però il numero ET viene indicato come Cr 1.198 (forse un refuso?):

“(Cr 1.198) 1ramaθa spesias sχa[ni]ce θui stalθi 2iχ () laris armas[ii]nas putuša ziχ 3ipa ve[l]iinaisi uθrice laricesi 4zuχuna“.

Nel suo intervento il professor Colonna parla diffusamente di ogni aspetto della tomba e si sofferma a lungo sull’iscrizione cercando di tradurla. Inoltre si ribadisce la connessione con zuχu e con Zuconia. Interessanti sono anche le note, in cui si mette in dubbio il rapporto col ceretano Sucu postulato dal Tarabella, avallando così l’ipotesi dei due gentilizi con etimi differenti. Così a pagg. 436-437:

“Il testo prosegue, e si conclude, con un terzo enunciato, che occupa per intero le righe 3 e 4. Lo introduce la parola ipa, di cui questa iscri-zione conferma, credo definitivamente – ed è acquisizione di notevole portata -, il valore di pronome dimostrativo, corrispondente a lat. idem e quindi, in questo caso, a eadem. Infatti il riferimento è a Ramatha Spesias, soggetto del primo enunciato, al quale il terzo è coordinato per asindeto. Il pronome funge da soggetto del verbo uθrice, che purtroppo è un hapax, avente in comune con sχa[ni]ce il morfo del passato di forma attiva. Il verbo, manifestamente transitivo, ha come oggetto l’appellativo zuχuna, collocato in posizione anomala alla fine dell’enunciato. Si tratta di un aggettivo sostantivato, già noto in caso zero dal Piombo di S. Marinella, in un contesto peraltro oscuro (Cr 4.102), e dalla Tegola, dove compare flesso al locativo zuχne (<*zuχuna-i) (ET, TC rr. 14-15), forse con valore strumentale65. Alla sua base è l’appellativo *zuχu, finora attestato solo con valore onomastico (cognome assunto come gentilizio: Vs 1.136, Fa 2.15 e passim), alla stessa stregua del derivato zuχuna (zuχni a Chiusi, Zuconia in falisco a Corchiano, ecc.)66.  Purtroppo nulla di concreto possiamo dire circa il suo significato67. Il nostro testo consente solo di affermare che esso va ricercato nella sfera del sacro, come del resto già si poteva intuire dalle altre due attestazioni.”
 
65 M. CRISTOFANI, Tabula Capuana, Firenze 1995, pp. 50, 92 s. Per FACCHETTI, Appunti, cit. a nota 49, p. 103, sarebbe voce verbale (ingiuntivo).
66 Dubbio resta il rapporto col gentilizio ceretano Sucu, postulato da MORANDI. Prosopografia, cit. a nota 36, pp. 221, 496 s.
67 Si è pensato a “dichiarazione” (FACCHETTI, Appunti, cit. a nota 49), che non fa al caso nostro.

 

Il testo citato nelle note di Colonna è “Appunti di Morfologia Etrusca“, Giulio M. Facchetti, L. S. Olschki, 2002 nel quale, effettivamente, il professor Facchetti traduce sia zuci che zuχne (vd. successivi punti 2) e 3) in questo capitolo) con “dichiarazione” perchè i due contesti nei qual i lemmi sono inseriti inducono a pensarlo e perché considera che la radice con e senza velare aspirata sia la stessa:

“…
Anche il brano di TC 14 fornisce un indizio (riferito a vacil, nota mia) in tal senso:
apertule aφes ilucu vacil zuχne
nel (giorno) *aperta (egli) <dichiara> la festa (e) <la lode> del (dio) Aphe
Già altrove43 ho palesato il sospetto che etr. zuc/χ- sia da tradurre con ‘<dichiarazione>’. A tal proposito si può produrre la frase finale della faccia A del piombo di Magliano (AV 4.1):
eθ . zuci . am . ar
così, nei termini della <dichiarazione> sia (e) (av)venga.”

43 Facchetti 2000, p. 14, nt. 10.

Ma forse nel presente contesto il termine non è altrettanto coerente; ed infatti in un testo successivo, “Note etrusche II“, Giulio Facchetti, in “AION”, 31, 2009 [2011], alla proposta vengono aggiunti due punti interrogativi che, nelle intenzioni di Facchetti, stanno ad indicare un grado elevato di problematicità:

“…
1Ramatha Spesias fece sχan- qui nello stal-,

2(sic)come/secondo quanto Laris Armasiinas dispose per iscritto(:)
3che (egli) aveva reso uθr- per Larice Veliinas
4lo/la zuχuna
“Risulterebbe dunque che, secondo una precedente disposizione (testamento? donazione?), Laris Armasiinas (verosimilmente il titolare – o uno dei titolari – della tomba) aveva uθr-<ato lo zuχuna a favore di Larice Veliinas, con ciò implicando che Ramatha Spesias compisse un’azione (sχan-) in un certo contesto (stal-), nell’àmbito del sepolcro (θui).
Purtroppo al momento non siamo in grado di precisare il senso di molti termini-chiave (sχan-, stal-, uθr-, zuχuna) e neppure conosciamo i rapporti di affinità o parentela fra i tre individui menzionati nel documento il che ci preclude una comprensione più profonda del contenuto complessivo. Se davvero si legge, come pare, uθrice, un verbo al preterito, allora zuχuna dovrebbe intendersi come sostantivo (<*zuχun-na, che significhi “dichiarazione??” [qui nel senso di heredis institutio?] – in base a quanto avevo a mala pena proposto per zuc/χ-, con la massima ipoteticità, – o altro) e non come congiuntivo (zuχun-a), anche se la struttura frasale potrebbe essere più complessa di quello che sembra.” 

Questa iscrizione lascia intendere un uso acherontico della tomba.

Anche il professor Maurizio Harari, nel suo articolo “ORCO III“, riprendendo l’articolo del professor Colonna, parla del termine zuχuna come di una possibile forma di rituale in cui è previsto versamento di sangue, e lo cita per evidenziarlo come precedente della stessa pratica rituale che deve essersi svolta anche nella Tomba dell’Orco. Scrive infatti:

“…e il sacrificio di sangue presupposto all’evocazione dei morti79 trova oggi un precedente (reale e non iconografico) nell’evento commemorato dalle Incisioni Graffite dell’omonima Tomba di Cerveteri80.”

79 Per cui andrebbe forse presa in considerazione quella specie di altare, dipinto di rosso come lo zoccolo delle pareti, che è enfaticamente collocato in Orco II giusto al di sotto del columen maggiore: vd. l’acquerello del Morani (Fig. 4).
80 Se tale è il significato, nell’epigrafe, del preterito schanice, che esprime l’azione rituale (uno zuchuna?) compiuta, entro la tomba, da Ramatha Spesias per il defunto coniuge Larice Veliinas: COLONNA 2007, p. 13. La disciplina di tali cerimonie doveva essere regolata da quei libri Acherontici, cui portava la sua attenzione CRISTOFANI 1987, p. 201″

Anticipando qui quello che tratterò più diffusamente in SUCUS ed in STIPES, il professor Adolfo Zavaroni, che ringrazio per aver risposto con gentilezza e generosità alle mie domande, a proposito della radice zuχ- dice:

“Nella Tabula di Capua è presente il participio presente zuχne a proposito del quale, in questo nuovo saggio, ho scritto:

Il tema * zuχ- di zuχne si trova anche nel gentilizio zuχni (femm. obliquo zuχnal), nel cognomen zuχu1 e nel sostantivo zuχuna dell’iscrizione lacunosa CIE 6310 sulla lamina plumbea dal Tempio di Minerva di Castrum Novum (VI sec. a.C). Certamente questa iscrizione si riferisce anche ad un augurium, dato che contiene termini come vacil, nunθena, aθemeis̓cas̓, rapa, helucu pertinenti ad un vaticinio. Per di più zuχuna segue aθemeis̓cas̓ (genitivo) che ha la radice di aθeneica ‘investigato con zelo’ (§ 17). Il tema * zuχ- può riflettere un ie. * stogh-, causativo di * stegh-, con normali [per l’etrusco] passaggi da ie. /st-/ a etr. /ts-/ davanti a vocale breve e da /g h/ a /k h/. L’area semantica di * stegh- comprende ‘pungere, ficcare; palo, stanga’: ‘ficcare’ può traslare a ‘fissare, piantare, stabilire’. In gr. στοχάζομαι il ‘fissare’ trasla a ‘mirare, indovinare, congetturare’. Quindi zuχne potrebbe significare ‘fissando’ o ‘congetturando’. Con la prima opzione zuχne sarebbe quasi un sinonimo di nuzlχne del LLZ2 . Anche nel LLZ sono presenti esortazioni a confermare (< fissare) i segni captati nelle prime fasi dell’aruspicina.
Note
1 Zuχu è cognomen di velscu (CIE 2123) e pumpu (CIE 2633) e come nome di famiglia ha per cognomen mutu (CIE 5037). L’analisi dei nomi mi porta a ritenere congruente l’interpretazione qui proposta per zuχne.
2 Nuzlχne ha la radice di nuθin (LLZ, X, 15), nuθe ‘conferma(no)’ e nuθanaturconfirmatores, garanti’ della Tabula di Cortona (Zavaroni, Cortona, p. 26). La base etrusca * nuθ– è riconducibile alla radice ie. *kneu-dh- ‘battere’ ( IEW 563) di anord. hnjōða stoßen, schlagen, nieten’, aat. pi-hnēotan ‘befestigen’ ecc.: in etr. * nuθ- e * nust- avvenne il passaggio da ie. k- iniziale a etr. h- (> Ø davanti a consonante).

Da *stegh- derivano anche germ. *stakan- ‘palo, paletto, puntello, stipite; affiggere, attaccare, fissare’ (> aing. staca, ing. stake ecc.: vedi Driessen 2013: 472) e dialetto reggiano (del 900) sòcc, sòca, parmigiano zocc, zòca (z = /ts/) significanti: ‘1. ceppo, base o piede di albero; 2. grosso chiodo che s’infigge in un albero per poi affilare la falce; 3. ceppo o pancone su cui si batte; 4. mazzocchio; 5 fabbricante di chiodi’. Com’è noto, zòca (diverso da reggiano só’ca, parm. zu’ca ‘zucca’) era anche usato per dire ‘scemo, stupido’, sebbene pure ‘zucca’ fosse usato per ‘testa dura, stupido’. Lo stesso traslato a ‘stupido, sciocco’ si ha in lat. stipes ‘ceppo, palo, stipite’ e in altri termini significanti ‘fisso, piantato’ o ‘ceppo’.

ziχu (in età recenziore zicu per deaspirazione) deriva da ie. * stegh- ‘pungere, bucare, incidere’: anche lat. scribō all’inizio significava ‘incidere’.
zilaθ e zilχ- (in età recenziore zilc- per deaspirazione) derivano da * stel- ‘collocare in modo ordinato, apprestare, equipaggiare, predisporre’ > ‘governare’.
zana ‘statua’ deriva da * sta- (< * steh2- nell’odierna linguistica della teoria glottalica); zatlχne ‘stabilendo’ (cfr. lat. statuō) da * stat-il- χ- (stessa radice * steh2-);
zizri (necessitativo della Tabula Capuana) riflette * stistĕ-ri (* stist- divenne s ist- in lat. sisto (vedi anche umbro sestu [l a s. pres.] indic.; vedi de Vaan 2008: 567).
rizile (Tabula Capuana) (< * ris-ti-le) deriva da * reis- ‘Schaden nehmen, danneggiare, nuocere’; ma z intervocalico può anche essere dovuto ad un passaggio – t(h)i- > – tz- (palatalizzazione) come in italiano razione, Lazio, lozione ecc.
zarfne- ‘carcassa, cadavere’ < * sterbh- (germ. * ster-b- ‘morire’ < ‘irrigidirsi’)

In etr. st- iniziale ie. divenne z- davanti a vocale breve; divenne ś (sibilante enfatica s’s) davanti a vocale lunga (es. śuθi < * stōdh- ‘edificio’ e anche ‘sepolcro’ (edificato)”.

2) ZUXNE

A proposito del sopra citato zuχne, oltre all’ipotesi del prof. Benelli ed a quella del professor Facchetti, voglio segnalare anche l’ * interpretazione (probabile/possibile?) che ne diede il prof. Massimo Pittau nella sua opera di più ampia traduzione del testo integrale della Tavola Capuana, dove la desinenza in -ne testimonierebbe la trasformazione del sostantivo zuχ- in aggettivo e la radice sarebbe, immagino di poter dedurre, considerata dal professore come derivante dal proto-indoeuropeo *sekw = “seguire, lat. sequor“, da cui allora quella latina soci-di soci-us,-i/soci-enn-us,-i con significato di “socio, compagno”; (oppure, meno probabilmente, al proto-indoeuropeo *i̯eu̯-g-/*yewg- = “legare al giogo, unire, accoppiare” da cui quella greca ζυγ- e quella latina iug-). Cito testualmente di seguito il

 * Pittau :
“…
14 E·P·NICEI·NUNΘ·CUCIIEI·TURZAI·RIΘ(—-)AE·I·TIIAHAL·X·A·PER·TULEA·PHES· ILU·CUVACI·LZUXN 
EPNICEI NUNΘCU CIIEI TURZAI RIΘ[NAI]TA EITIIA HALX APERTULE AΦES ILUCU VACIL ZUXN 
per l’epinicio (canto di gloria) celebrato con tre pizzichi di incenso a  norma del rituale col vaso bronzeo all’apertura nenia funebre all’ Avo (Capostipite) in rito comunitario 
15 EE·L·FARIΘNAI·TUL TRAI·S·VANEC·CALUS·ZU·LEVAA·TU(–)NEIN·PAVINAI·Θ·ACAS·A·PH
 E ELFA RIΘNAITULTRAIS VANEC CALUS ZUSLEVA ATU[M]NE INPA VINAIΘ ACAS AΦ
pane d’orzo secondo i Libri Rituali e per il sotterraneo Calus preghiere in autunno che il vignaiolo (sta) lavorando, all’Avo (Capostipite)  

ZUXNE (T Cap 14) significato probabile «sociale, comunitario», da confrontare col lat. sociennus «socio, compagno» (già prospettato come di origine etrusca; Ernout 25, ESL 463). Vedi antroponimi etr. SUCN(-EI), ZUCENA (suff. –nn-) (DETR 183, 385; DICLE)”.

Tuttavia il rito, invece che * comunitario, avrebbe potuto essere * libatorio, cioè eseguito offrendo libagioni, ovvero liquidi e succhi vari (latte, sangue, vino, olio, essenze….), in accordo con l’ipotesi di una corrispondenza con il latino suc(c)us,-i che viene prospettata dal Pittau stesso nel suo Dizionario della lingua etrusca (vd. anche SUCUS) e senza che questa diversa traduzione cambi di molto il senso complessivo del testo.

3) ZUCI

a) Nel caso di zuci, presente nel testo del cippo di Perugia (una stele che riporta il testo di un accordo privato tra due proprietari terrieri confinanti con l’intervento di un testimone/magistrato), il termine viene scritto tre volte sempre accompagnato dal termine enesci, che il Pittau decide di suddividere in enes – ci, cioè “noi tre” riferendosi ai due contraenti ed al testimone/magistrato, e lo traduce così:

“…
lato (A)

1 [T]EURAT · TANMA · LA · REZU L
Arbitro conciliatore La(ris/rt) Resio (figlio di) L(art/ris)
2 AME VAXR LAUTN · VELΘINAŚ E
È fatto un patto a due della famiglia Veltinia
3 ŚTLA AFUNAŚ SLELEΘ CARU
(e) di quella di Afonio, che stabilisca
4 TEZAN FUŚLERI TESNŚ TEIŚ
per gli appezzamenti secondo il diritto
5 RAŚNEŚ IPA AMA HEN NAPER
quello etrusco, quali sono qui le 12
6 XII VELΘINAΘURAŚ ARAŚ PE
mappe della famiglia Veltinia, procedendo
7 RAŚC EMULM LESCUL ZUCI EN
e attraversando in profondità e in larghezza
8 ESCI EPL TULARU ·
per delibera di noi tre sul terreno delimitato.
9 AULEŚI · VELΘINAŚ ARZNAL CL
Ad Aulo figlio di Veltinio (e) di Arsnia
10 ENŚI · ΘII · ΘIL ŚCUNA · CENU E
(spetta come) mutua cessione il (terreno) equivalente
11 PLC · FELIC LARΘALŚ AFUNEŚ
su (quello) produttivo di Lart Afonio.
12 CLEN ΘUNXULΘE
Il figlio (Aulo è) d’accordo.
13 FALAŚ · XIEM FUŚLE · VELΘINA
Dal cippo in basso tre quarti dell’appezzamento Veltinio
14 HINΘA CAPE MUNICLET MASU
prende, presso il sepolcro, terreno esteso
15 NAPER · ŚRANCZL ΘII FALŚTI V
mappe dodici per ciascun lato; presso il cippo
16 ELΘINA HUT · NAPER · PENEZŚ
Veltinio cede terreno esteso circa
17 MASU · ACNINA · CLEL · AFUNA VEL
quattro mappe agli Afoni e Veltinia
18 ΘIN[I]AM LERZINIA · INTE MAME
Lersinia ci sta a queste cessioni.
19 R · CNL · VELΘINA · ZIA ŚATENE
Veltinio da vivo soddisferà
20 TESNE · ECA · VELΘINAΘURAŚ Θ
quest’obbligo. Della famiglia Veltinia
21 AURA HELU TESNE RAŚNE CEI
(è) propria la tomba secondo il diritto quello etrusco
22 <TESNŚ TEIŚ RAŚNEŚ> XIMΘ ŚP
<secondo il diritto quello etrusco>. Su tutta la cripta
23 EL ΘUTA ŚCUNA AFUNA MENA
custodia concede Afonio; qui dona tre
24 HEN · NAPER · CI CNL HARE UTUŚE
mappe (e) tratterà queste cose con cura.

lato (B)

1 VELΘINA · Ś
Veltinio
2 ATENA · ZUC
mantiene – per delibera
3 I · ENESCI · IP
di noi tre – gli arredi
4 A · ŚPELANE
che (sono)
5 ΘI · FULUMX
nel corredo funerario,
6 VA · ŚPELΘI ·
nella cripta
7 RENEΘI · EŚT
a fianco.
8 AC · VELΘINA
E questo Veltinio
9 ACILUNE ·
farà, darà,
10 TURUNE · ŚC
concederà
11 UNE · ZEA · ZUC
da vivo per delibera
12 I · ENESCI · AΘ
di noi tre. Del
13 UMICŚ · AFU
nobiluomo
14 NAŚ · PENΘN
Afonio è la
15 A · AMA · VELΘ
stele. Veltinio
16 INA · AFUNA
ad Afonio
17 ΘURUNI · EIN
promotore non
18 ZERI UNA · CL
faccia seguito su questo
19 A · ΘIL · ΘUNX
reciproco accordo
20 ULΘL IX CA
come questa
21 CEXA ZIXUX
delibera ha prescritto.
22 E

TRADUZIONE INTERPRETATIVA

Lato (A)
Arbitro conciliatore La(ris/rt) Resio (figlio di) L(art/ris) / È fatto un patto a due tra la famiglia Veltinia / (e) quella di Afonio, che stabilisca / per gli appezzamenti (di terreno) secondo il diritto / quello etrusco, quali sono qui le 12 / mappe della famiglia Veltinia, procedendo / e attraversando in profondità e in larghezza / per delibera di noi tre (1 Resio arbitro, 2 Afonio attore, 3 famiglia Veltinia convenuto) sul terreno delimitato. / Ad Aulo figlio di Veltinio (e) di Arsnia / (spetta come) mutua cessione il (terreno) equivalente / su (quello) produttivo di Lart Afonio. / Il figlio (Aulo è) d’accordo. / Dal cippo in basso tre quarti dell’appezzamento Veltinio / prende, presso il sepolcro, terreno esteso / mappe dodici per ciascun lato; presso il cippo / Veltinio cede terreno esteso circa / quattro mappe agli Afoni e Veltinia / Lersinia ci sta a queste cessioni. / Veltinio da vivo soddisferà / quest’obbligo. Della famiglia Veltinia / (è) propria la tomba secondo il diritto quello etrusco / <secondo il diritto quello etrusco>. Su tutta la cripta / custodia concede Afonio; qui dona tre / mappe (e) tratterà queste cose con cura.

Lato (B)
Veltinio / mantiene – per delibera / di noi tre – gli arredi / che (sono) / nel corredo funerario, / nella cripta / a fianco. / E questo Veltinio / farà, darà, / concederà / da vivo per delibera / di noi tre. Del / nobiluomo / Afonio è la / stele. Veltinio / ad Afonio / promotore non / faccia seguito (ulteriore questione) su questo / reciproco accordo / come questa / delibera ha prescritto.

AΘUMICŚ (AΘUMI-CŚ): (Cippus b 36-37) significato probabile «del signore, del nobiluomo» (in genitivo articolato) (DETR² 35).
ENESCI: (Cippus a 7-8, b 3, 12) significato probabile ENES-CI «di noi tre». ZUCI ENESCI «per delibera di noi tre», 1 Resio arbitro 2 Afonioattore 3 famiglia Veltinia convenuto. Vedi ENAŚ.
ZUCI:
 (Cippus a 7, b 26, 35) significato compatibile «a/per delibera, sentenza», in dativo”.

ŚCUNA: (Cippus a 10) significato compatibile «cessione».
ŚCUNA: (Cippus b 23) significato compatibile «concede».
ŚCUNE: (Cippus b 10-11) significato compatibile «cederà, concederà» (al futuro). Vedi ŚCUNA, SCUVUNE.

 

Bisogna riconoscere che questa traduzione ha una coerenza interna tale per cui risulta difficile allontanarsi dal senso che il Pittau attribuisce a zuci enesci, a meno che non si tratti di una formula codificata che, pur avendo quel significato traslato, sia derivata da significati originari diversi di quelle due parole. Tuttavia esiste anche un altro tentativo, piuttosto datato ma interessante.

In un testo del 1904, “Correzioni, Giunte, Postille al Corpus Inscriptionum Etruscarum“, di Elia Lattes, si prende in considerazione anche il Cippo Perugino ed a proposito di zuci enesci, dopo diverse pagine di confronti, ipotesi e ragionamenti, si giunge alla conclusione di tradurre i due termini come succi denicales, cioè quelle libagioni che venivano offerte in occasione dei funerali di un congiunto e che, nel mondo romano, diventeranno i dies denicales, i nove giorni di lutto durante i quali i parenti non potevano svolgere alcun lavoro. Con un certo grado di sicurezza il Lattes ravvisa nel termine protoitalico *neks (= morte violenta) l’origine comune all’etrusco e-nesc-i di de-nic-alis e giunge alla conclusione che zuci sia assimilabile al lat. succi (=succhi, libagioni). Naturalmente stiamo parlando di un testo dell’inizio del XX secolo e quindi va preso con beneficio di inventario, ma anche in questo caso la radice zuc- viene associata ad un qualcosa di sacro, di sacrificale, ed il ragionamento che l’autore espone non è del tutto privo di argomenti. Purtroppo però questa interpretazione mal si accorda col tipo di testo che logicamente e per conoscenza abbastanza certa di altri termini in esso presenti si sarebbe trovato su di un evidente cippo di confine, non saprei infatti come collocare un sacrificio libatorio cruento in un testo di diritto civile che riporta, con tutta evidenza, un’accordo privato tra due proprietari terrieri confinanti. In un altro testo coevo poi, il “Corpus inscriptionum italicarum“, viene data un’altra interpretazione ancora, anche per ENESCI, ma mi sembra che entrambi siano ormai sorpassate.

Per tornare a testi molto più recenti ed affidabili, come ho già anticipato nel punto 1) di questo capitolo, Giulio Facchetti, nel suo “Frammenti di Diritto Privato Etrusco“, L.S. Olschki, 2000, ribadisce la possibilità prospettata dal Pittau, ma ritiene più probabile che zuci enesci sia una formula simile ad analoghe formule latine come “sine dolo malo” o “ex fide bona“, cioè “senza inganno, in buona fede”. Nella nota 10 alle pagg. 14 e 15:

“…
10 La probabilità di zuc-i enesc-i = ‘sine dolo malo‘ (o ‘ex fide bona‘?) è supportata da interessanti comparazioni con testi latini, offerte dal MANTHEE, Ein etruskischer. cit. p. 274 ss. Non mi pare che i testi etruschi offrano solidi punti d’appoggio per un esame combinatorio di zuc-i (che é hapax, ma si trova zuχ-) o di enesc-i. In ogni caso, come osservato dal Manthe, si tratta di una frasetta incidentale, che io traduco ‘<senza inganno>’. D’altra parte è opportuno segnalare che se ‘enas‘ sul Liber Linteus significasse davvero ‘<di noi>’ (il che è possibile, ma per ora, indimostrabile), e se tale termine fosse collegabile con ene-s-c- (aggettivo in -c, con qualche difficoltà perché in ena-s sembrerebbe genetivale), allora si potrebbe suggerire per “zuc-i enesc-i” una traduzione ‘<secondo nostra dichiarazione>’ in riferimento diretto alla sentenza pronunciata.”

b) Nel caso di zuci del disco di Magliano (CIE 5237; TLE 359; ET, AV 4.1), il professor Pittau lo traduce nel medesimo modo, pur riconoscendo che molti punti della sua traduzione restano incerti, soprattutto nel lato b:

“…
(A)

CAUΘAS TUΘIU AVILS LXXX EZ XIMΘM CASΘIALΘ LACΘ HEVN AVIL NEŚL MAN MURINAŚIE FALZAΘI AISERAS IN ECS MENE MLAΘCE MARNI TUΘI TIU XIMΘM CASΘIALΘ LACΘ MARIŚL MENITLA AFRS CIALAΘ XIMΘM AVILSX ECA CEPEN TUΘIU ΘUX IXU TEVR HEŚNI MULVENI EΘ ZUCI AM AR

(Sia) protezione di Cauta all’80enne nella fossa purificata in tutto; (mio) marito defunto da un anno il Mane sepolcrale (ha mandato?) nel palazzo degli dèi; da me stessa l’ho affidato alla terra per protezione divina, nella fossa purificata in tutto da Maris il Donatore. Dei parenti da trent’anni in tutto o quel Capo (degli Inferi Calus) porta protezione (ed) equo giudizio globale dà (su di essi). Fa’ che questa sia la sentenza!

(B)

/ MLAX ΘANRA / CALUSC ECNIA \ IV \ AVIL MI MENICAC MARCA LURCAC EΘ TUΘIU NESL MAN RIVAX LEŚCEM TNUCASI ŚURIS EIS TEIS EVITIURAS MULSLE MLAX ILAXE TINS LURSΘ TEV \ HUVI ΘUN \ LURSΘ SAL \ AFRS NACES

Ed io ho fatto il voto di donare a Thanr e a Calus l’Infuocato per 4 anni mercede e cibo per la protezione del defunto Mane e per la (mia) casa in lungo e in largo (protezione) del dio Suri; per questo mese offro un voto in idromele (ogni) giorno al dio Laureato (Apollo); un ariete al Laureato, due sulla fossa dei (miei) famigliari.”

ma in questo caso zuci potrebbe anche essere riferito ad un significato “tecnico” legato ad un qualche sacrificio cruento specificamente indicato da quel termine senza che cambi il senso generale della traduzione complessiva: * “fa che questo sia il sacrificio!”.

4) ZUCRE

Per il Pittau:

zucre: forse «suocero» (?), da confrontare col lat. socer, socrus «suocero» (DELL): Av Sure zucre «Aulo Surio suocero» (su coperchio d’ossuario; Ar 1.24- rec)”.

5) ŚUCI, ŚUCRI, ŚUCIVA

Nel Liber Linteus (LLZ), un eccezionale documento del 250 a.C. circa, della mummia di Zagabria la parola śucri viene analizzata da “Il verbo etrusco“, Koen Wylin, ed. L’Erma di Bretschneider 2000, nel seguente modo:

“…
LL
8 3-4: celi huθiś zaθrumiś flerχva neθunsl śucri θezeric: celi huθiś zaθrumiś è la datazione esatta (mese e giorno), mentre flerχva sembra il collettivo di fler. L’esatto significato della radice suc- ci sfugge ancora (anche se qui l’inziale è una ś sce non una s; nota mia). Secondo l’Olzscha va cercato nella sfera dell’annunciare, parallelo all’umbro naratu. Nelle Tavole Iguvine la vittima deve essere presentata al dio, prima di essergli offerta. Si traduce: il 24/26 di settembre l’insieme delle offerte per Nettuno deve essere annunciato ed offerto.”

Pittau invece, che tentò la traduzione dell’intero testo scritto sulle bende, preferì tradurre śucri con “profumato” e nello stesso modo tradusse altre forme simili del medesimo lemma, proponendo la stessa corrispondenza con il lat. sucus che propose anche nei suoi dizionari per tutti i derivati dalla radice zuχ-/suc-

“…
ŚUCI, ŚUCIC, ŚUCIX (ŚUCI-C/X)
(VII 9, 16, 20, 22) significato compatibile «(e) profumo, incenso», probabilmente da confrontare col lat. sucus, succus «succo, sugo, sapore, profumo», il quale, essendo finora di origine ignota (DELL), potrebbe derivare proprio da questo appellativo etrusco (DICLE); sempre ŚUCI(C) FIRIN «(e) brucia profumo!». Vedi ŚUCIVA, ŚUCRI.
ŚUCIVA (VII 7) significato compatibile «profumi, grani di profumo», plur. di ŚUCI (LEGL 69). SAL ŚUCIVA FIRIN «brucia due grani di profumo!».
ŚUCRI (VIII 10) probabilmente «da profumare», in gerundivo (LEGL 127). Vedi ŚUCI”

Anche se queste parole sono accompagnate da:

“…
FIRA
(I 18) significato probabile «pira» in cui si bruciavano i profumi e le vittime, da confrontare col greco pyrhá (interpretazione confermata dal vocabolo VERSUM «e fuoco» della riga seguente). Vedi FIRIΘVENE, FIRIN.
FIRIN (VII 7, 9, 20, 22) probabilmente «brucia!» (imperativo sing.). ŚUCIC FIRIN «e brucia profumo!». Vedi FIRA.
FIRIΘVENE (VII 16) significato compatibile «che brucia, infiammabile», aggettivo (LEGL 89).”

a me pare comunque che possa essere proposta anche in questo caso per i sostantivi śuci/śuciva la traduzione “libagione/libagioni“, e per la forma verbale gerundiva śucri quella di da libare/da versare” senza stravolgere troppo il senso complessivo dell’ipotesi traduttiva di entrambi: il 24/26 di settembre l’insieme delle offerte per Nettuno deve essere libato (versato) ed offerto.

6) ŚCUNUERI

Sebbene questo termine a prima vista non sembri rientrare nei derivati delle radici zuχ-/suc-, è possibile, se non probabile, che sia il risultato di una sincope in cui è caduta la U atona della forma estesa ŚUCUNUERI. Questo fenomeno linguistico è presente e ben testimoniato anche in molti altri casi (cfr. zuχuna > zuχna) in cui la sincope ha significato il passaggio da una forma estesa arcaica ad una sincopata recenziore (il Liber è datato a metà del III sec a.C.), ma non sempre si è verificato e questa parola potrebbe anche aver conservato sempre la stessa forma nel corso dei secoli e, quindi, non aver nulla a che fare con la radice zuχ-/suc-. L’iniziale è una Ś la cui spiegazione potrebbe rientrare in quell’alternanza di utilizzo delle sibilanti di cui ho detto nel precedente paragrafo sull’ipotesi dell’unico gentilizio espresso in due forme, come è possibile verificare consultanto l’Etruskische Texte a pag. 167 dove si nota come la S sia utilizzata a Tarquinia e nella Tavola Capuana, mentre a Perugia e nel Liber compare la Ś.

Da Massimo Penna, nell’ambito della più vasta traduzione di tutto il testo del Liber Linteus (a cui rimando qui), viene interpretato come un necessitativo “rito da compiere” anche se, recentemente interpellato da me, dopo aver tradotto così:

“…
20 ŚUCI • FIRIN • ETNAM • VELΘITE • ETNAM AISVALE

l’offerta funebre e [il liquido inebriante] anche sacramente
21 VACL • AR • PAR • ŚCUNUERI • CEREN • CEPEN
un rito compia il magistrato offerente che opera come sacerdote
22 ΘAURX ETNAM • IX • MATAM • ŚUCIC • FIRIN
funerario e così, davanti le tombe, sacrifichi.

ha precisato così:

“…
a distanza di qualche anno dalla traduzione mi servirebbe un po’ di tempo per far mente locale e ‘rientrare in partita’, tuttavia credo che senz’altro ŚCUNUERI sia la forma ‘sincopata’ di ŚUCUNUERI che, restando nell’ambito dei significati attribuibili, ammettendo l’altra forma dal tema SUC- ed anche SAC-, restiamo nella definizione del sacro, dell’azione sacra, offerta, rituale.
Circa il medesimo significato ha SCU-NA, ESCU-NA, ESΧU-NA che viene per lo più declinato come un verbo di dono e offerta sacra.
In pratica ora, col senno di poi, avrei potuto tradurre ŚCUNU-ERI e ŚUCUNU-ERI come un participio passivo di necessità (necessitativo), vale a dire “è da compiere un’azione sacra” sottinteso da parte del sacerdote officiante.”

I termini qui sopra citati ŚCU-NA, EŚCU-NA, EŚΧU-NA si trovano nel già trattato Cippo Perugino (testo quasi coevo al LL essendo del III o II sec. a.C.) ed in altri frammenti ed iscrizioni che sono però più antichi (circa V sec. a.C.) e che nel “Dizionario della Lingua Etrusca“, di Massimo Pittau, ed. Dessì – 2005, vengono tradotti come segue:

escuna «cedeva, consegnava», III sec. a.C., imperfetto oppure presente storico indicativo 3′ pers. sing.; Camnas Larθ Larθal Satnalc clan an suθi lavtni zivas ceriχu tesamsa suθiθ atrsrc escuna (nota mia: potrebbe essere sbagliata la divisione delle lettere, non atrsrc escuna, ma atrsrce scuna) calli suθiti munθ zivas mursl XX «Lart Camnio figlio di Lart e di Satenia, egli stesso vivente il sepolcro per la famiglia avendo comandato (che fosse) costruito; (ora è) nel sepolcro; e vivente consegna(va) ai familiari in questo sepolcro il corredo di 20 ossuari» (atrsrc escuna mostra di reggere il complemento oggetto come il lat. familiares donare) (su coperchio di sarcofago; Ta 1.182 – 3:). Vedi scuna, scune, scunsi, esχaθ; cfr. ca/eca, nac/enac, purθne/eprθnev, sal/esal (TCL 78). 
Esχunas «di Escunio» (nota mia: equipollente al nome Donato?), VI-V sec. a.C., gentilizio masch. in genitivo, da confrontare con quello lat. Esq[u]nius (CIL I 2768, Perugia; RNG) (nota mia: il CIL ricostruisce la scritta incompleta come Esquilinus e non come  Esqunius); Ramθa Esχunas «Ramta (figlia o moglie) di Escunio» (su cippo; Vs 1.94 – 6/5). (nota mia: è un hapax non derivabile dalla precedente voce escuna e probabilmente nemmeno correlato al gentilizio falisco/etrusco Hescana/Hescna).
scuvse vocabolo corradicale di scuvune (TC 10), V sec. a.C.
scuvune «offrirà, (con)cederà, consegnerà», V sec. a.C., probabilm. in futuro (LEGL 115) (TC 7). Vedi scuvse, scune, scunsi.
scuna «offro, (con)cedo, consegno» e «offre, (con)cede, consegna», III-II sec. a.C., indicativo pres. P e 33 pers. sing. (Cippus; Pe 8.4/2). Vedi escuna, scuna, scunsi.
scune probabilm. «offrirà, (con)cederà, consegnerà», III-II sec. a.C., al futuro (LEGL 115); acilune turune scune «farà darà concederà» (formula giuridica probabilm. analoga a quella lat. facere dare praestare) (Cippus; Pe 8.4). Vedi scuvune.
scunsi probabilm. «per/in offerta», III sec. a.C. , in dativo sigmatico sing. (LEGL 80); Aninas Vel Velus apanes surnus / travzi scunsi Cates zev / avils X XXIII «Uel Aninio (figlio) di Uel in generosa (?) offerta del culto parentale a Cata .?. .?. / di anni 43» (su parete di sepolcro; Ta 1.158 – 3:p) (Ta 1.153, 159). Vedi scuna, scune, scuvune, (e)scuna.
scuntnues forse «di offerta, concessione, consegna», V-I sec. a.C., in genitivo (?); Arnθ Remzna Arnθal zilat scuntnues «Arunte Remnio (figlio) di Arunte pretore di offerta/concessione (?)» (su coperchio di ossuario; Cl 1.166 – rec). Vedi scuna, scunus?
scunueri probabilm. (scunu-er-i) «alle offerte, concessioni, consegne», III sec. a.C., indativo asigmatico plur.. oppure «da offrire, da (con)cedere, da consegnare», in gerundivo (LEGL 80, 127) (LL VII21).
scunus probabilm. «di/dell'(oggetto) offerto, di/dell’offerta», III sec. a.C., participio passivo sostantivato (LEGL 143) (Ta 5.6). Vedi scune, scunueri.  

La forma ścuvne/ścuvune nella Tavola Capuana, testo più antico in cui forse avrebbe dovuto presentarsi nell’ipotizzata forma estesa, lascia pensare che una U dopo la Ś non ci sia mai stata e che non si sia verificata alcuna sincope. Anche la forma scunsi, analizzata nell’articolo “La formula travzi scunsi nella Tomba degli Aninas“, di Koen Wylin, pubblicato nella Rivista di Studi Antichi “La Parola Del Passato”, fascicolo CCCLXXXV del 2012, Macchiaroli editore, sembra confermare che la radice *scun- non sia assimilabile alla radice zuχ-/suc- per caduta della U e che abbia, a seconda del contesto in cui si trova, come significati “eseguire” come verbo e “prestito, concessione, uso, cosa eseguita, struttura” come sostantivo.

Il Pittau, come da testo pubblicato nel sito “Quotidiano Honebu di Storia ed Archeologia“, traduce nel seguente modo:

“…
20 ŚUCI • FIRIN • ETNAM • VELΘITE • ETNAM AISVALE
profumo brucia poi o abitante della terra poi secondo il sacro
21 VACL • AR • PAR • ŚCUNUERI • CEREN • CEPEN
rito rendi pari alle grazie (degli dèi), cura poi o sacerdote,
22 ΘAURX ETNAM • IX • MATAM • ŚUCIC • FIRIN
l’ufficio funebre come prima e profumo brucia!

“…
ŚCUNUERI: (VII 21) significato compatibile «alle concessioni, alle grazie» (in dativo plur.). AR PAR ŚCUNUERI «rendi pari alle grazie», cioè «pareggia le grazie (ricevute dagli dèi)!».”

Cioè, pur restando nell’ambito del sacro, considera ŚCUNUERI come dativo di “concessioni, grazie (degli dei)”, in modo simile alla traduzione del Penna.

Adolfo Zavaroni nel suo “L’etrusco come “Lingua franca o pidgin” III, IL LIBER LINTEUS ZAGABRIENSIS, LIBER HARUSPICINUS : istruzioni per gli aruspici” traduce invece così:

“…
L’ispezione delle viscere è denotata anche dal necessitativo ścunueri ‘si deve ispezionare’. La base *scun- di ścunueri (e di ścuna, scunu, scunsi di altre iscrizioni) deriva da *(s)keu̯h1- ‘accorgersi, vedere’ come anord. skynja ‘esaminare’, skyn ‘indagine’, skygn < *skuu̯u̯ini- ‘accorto, dalla vista acuta’, anord. skygna, as. scauwōn, aat. scouwōn ‘vedere’, gr. κoέω ‘mi accorgo, percepisco, odo’, lat. caveō ‘sto attento, mi guardo da’. Da *(s)keu̯h1- deriva anche l’imperativo in -θ caveθ (2 casi) ‘osserva’ avente per oggetto reuχzina ‘solco’….

18.8.8 heχz sul scvetu ‘procuri un fondamento il saggio’. Il verbo di questa breve proposizione heχz ‘si applichi a, procuri, curi’ (§ 6.3) ha come oggetto sul ‘base, fondamento’ (§§ 14.3.4, 18.2). Considero scvetu (< *scuvetu) come il soggetto di heχz e gli attribuisco la radice *(s)keu̯h1- ‘accorgersi, osservare’ di scuvune e scuvse della Tabula Capuana, e della base *scun- di scunueri, scuna, scunu, scunsi (§ 4.4). Interpreto scvetu come lat. cautus ‘accorto’ > ‘saggio, esperto’.

Solo come informazione storica aggiungo che in testi datati come “Corpus Incriptionum Italicarum“, un’opera di Ariodante Fabretti del 1867, ed in “Giornale arcadico di scienze, lettere ed arti, Volume 166“, in un articolo del 1860 a pagina 184, si proponeva un’etimologia greca: zuχu da τυχη = “sorte, fortuna”. Alla base di questa ipotesi c’è la possibilità che la Zeta etrusca sia il risultato di un’affricazione della Tau greca e che i nomi di persona come Tychena, Tychus, Ticinus fossero diffusi ma, alla luce di quanto finora esposto, credo di poter affermare con certezza che questa ipotesi sia errata.

       

Glossari

Dopo aver dato conto di queste sue traduzioni, devo però segnalare che lo stesso Pittau nei suoi:

1) Dizionario della lingua etrusca, ed. Dessì, 2005, e Dizionario comparativo latino-etrusco, ed. EDES, 2009, suggerisce di correlare i tre lessemi (incluse svariate forme simili) ed i relativi antroponimi con il latino suc(c)us,-i, o con termini derivati ed in relazione con esso, e quindi in modo difforme dalle traduzioni da lui stesso proposte nei tre testi lunghi sopra citati:

“…
ETR. C

Cucu «Cocio», gentilizio masch. (CI 1.249; Pe 1.1206). da confrontare con quelli lat. Cocius. Cocio,-orris (RNG 58. 315), nonché col lat. cocio, coctio,-onis «mediatore, sensale» (cucio apud antiquos; Paolo-Festo pag. 2) (già prospettato come di origine etrusca; EPHIL 42; DELL; SE XLI 195).
ETR. S
 
śuci forse «aroma, profumo», da confrontare col lat. sucus «succo, umore» (?): sempre suci(c) firin «(e che) bruci aroma!» (?)(LL VII.9, 20, 22). Vedi suciva, suχu, zuχne.
śucic (suci-c) forse «e aroma, e profumo» (?)(LL VII.9, 16, 22).
śuciva forse «grani di aroma» (?). plur. di suci (LEGL 69); sal suciva firin «(che) bruci due grani di aroma!» (?)(LL VII.7).
śuciχ (suci-χ) «e aroma, e profumo» (LL VII. 16).
Sucisnaia «di Successinia», gentilizio femm. in genitivo arcaico (LEGL 76). da confrontare con quello lat. Successinius (RNG); mi Θanakvilus Sucisnaia «io (sono) di Tanaquilla Successinia» (su vaso; Cr 2.42 – 7f6i). Vedi Sukisnas. Cfr. Amunaia.
Sucle probabilm. «Socelio», gentilizio masch., da confrontare con quelli lat. Socelius, Sucilius (RNG) (Cl 1.641).
Sucna(l) «di Socen(n)ia». genitivo di Sucnei (Co 1.35).
Sucnei «Socen(n)ia», gentilizio femm., da confrontare con quello lat. Socen(n)ius (RNG), nonché col lat. sociennus «socio, compagno» (già prospettato come di origine etrusca; M. Durante) (Ar 1.61); La Tites Crespe / Lartθi Cainei Sucnei «La(rt) Titio Crispio / Lartia Caenia Socen(n)ia» (2 gentilizi masch. e 2 femm.) (su ossuario; Ar 1.61 – rec). Vedi Zucenas.
śucri forse «da dedicare» oppure «da purificare» (?), in gerundivo (LEGL 127) (LL VIII.10).
Sucu «Succonio», gentilizio masch., da confrontare con quello lat. Succonius (RNG) (su parete di sepolcro; Cr 1.155 – 4:s).
Sucui «Succonia», femm. del gentilizio Sucu (su cippo; Cr 1.100 – rec).
Sucus «(di) Succonio». gentilizio masch. in genitivo anche patronimico fossilizzato (LEGL 78) (Cr 1.152, 155, 172): Larθi Sucus «Lartia (figlia o moglie) di Succonio» (su vaso; Cr 2.131 – 4:f). Vedi Zuχus.
Sukisnas «di Successinio», gentilizio masch. in genitivo, da confrontare con quello lat. Successinius (RNG); mi Laives Sukisnas «io (sono) di Laevio Successinio» (2 gentilizi o gentilizio e cognomen) (AV 2.1). Vedi Sucisnaia.
Suχu forse «aroma, profumo», da confrontare col lat. sucus «succo, umore»(?)(TC1). Vedi suci, Zuχu, zuχne. (ma nella traduzione del testo completa scrive Iluχu; nota mia)
LAT. S
Successinius
antroponimo (RNG) da confrontare con quelli etr. Sucisna(-ia), Sukisna (DETR 384, 387) (alternanza e/i; suff. –in-).
Succonius antroponimo (RNG) da confrontare con quelli etr. Sucu, Zuqu, Zuχu, Zuχni, Zuχuna (DETR 184, 385; REE, 2006, 26) (suff. –on-/-u(n)-). Vedi suc(c)us.
succo,-onis «succhiatore», «usuraio», da confrontare con gli antrp. etr. Sucu, Zuqu, Zuχu, Zuχni, Zuχuna (DETR 184, 385; REE, 2006, 26) (suff. –on-/-u(n)-). Vedi Succonius.
succus, sucus «succo, sugo» (di origine ignota; DELL) probabilm. da confrontare con gli antrp. etr. Sucu, Zuqu, Zuχu (DETR 184, 385). Vedi Succonius.
sucinum, succinum «ambra» (resina fossilizzata, molto adoperata nei gioielli) (indeur.; DELL) forse da confrontare con gli antrp. etr. Sucnei, Zuχni (DETR 184, 385) (suff. –in-). Vedi Sucinus.
Sucinus antroponimo (RNG) da confrontare con quelli etr. Sucnei, Zuχni (DETR 184, 385) (suff. –in-). Vedi suc(c)inum.
ETR. Z
Zucenas «di Socen(n)io», gentilizio masch. in genitivo, da confrontare con quello lat. Socen(n)ius (RNG) (Oa 2.24). Vedi Sucnei.
zuci probabilm. «così, così come», da confrontare col lat. sic, soc «così» (AV 4.1): zuci enesci «così come ho deliberato», come formula giuridica fissa (Cippus; Pe 8.4/3). (in questo caso, pur essendo identica la radice, la desinenza in -i potrebbe indicare un significato diverso, nota mia).
zucre forse «suocero» (?), da confrontare col lat. socer, socrus «suocero» (DELL): Av Sure zucre «Aulo Surio suocero» (su coperchio d’ossuario; Ar 1.24- rec). 
Zuqu «Succonio». variante di Zuχu «Succonio»: [Avi]le Zuqu me turace Mena[r]vas «Aulo Succonio mi ha donato a Minerva» (su vaso; Ve 3.29 – 6:).
Zuχnal «di Succonia», femm. del gentilizio Zuχni, in genitivo (Cl 1.60,168,170,171,832,2319).
zuχne forse «succoso, sugoso-a», aggettivo (LEGL 89), da confrontare col lat. suc(c)us (?) (TC 15). Vedi zuχuna, suci, suχu.
Zuχni «Succonio», gentilizio masch., da confrontare con quello lat. Succonius (RNG) (Cl 1.1767). Vedi Sucu, Zuqu, Zuχu.
Zuχnis «di Succonio», genitivo di Zuχni (Cl 1.1768).
Zuχu «Succonio», gentilizio masch. da confrontare con quello lat. Succonius (RNG) (Cl 1.1619. 1769, 1770. 2173). Vedi Zuqu, Sucus, suχu.
zuχuna vocabolo di significato ignoto; da connettere forse con zuχne (?) (Cr 4.10).
Zuχus «di Succonio», gentilizio masch. in genitivo; mi Lareces Zuχus Mutus suθi «io (sono la) tomba di Larce Succonio Muttone» (2 gentilizi o gentilizio e cognomen) (su facciata di sepolcro; Vs 1.136 – 6/5) (Fa 2.15; Cl 1.1771; Pe 1.965). Vedi Sucus.”

Alcuni altri glossari, oltre a quello del Pittau, ne riportano una traduzione, ma non sono ancora riuscito a sapere su quali fonti si basino e li cito con beneficio d’inventario:

2) è interessante l’ Etruscan Glossary di Glenn Gordon per la traduzione di zuχ con “sanguinare, far scorrere il sangue” [“zuχ  v.tr. to bleed, to let blood from, zuχne (midd.pret.) // zuqu (part.)”] e di zuχiana (forma da me mai incontrata prima e che l’autore spiega di aver ricavato da zucienes-ci dopo aver corretto a sua opinione la scorretta divisione tra le parole zuci-enesci) con “bloodletting cup” (“coppetta per salasso”, di cui parlerò più diffusamente in SUCCO) facendo riferimento proprio ai già citati cippo di Perugia e tabella di Santa Marinella:

“…
[“zuχana ‘sacrifice’ 
zuχiana ni.(II) ‘bloodletting cup’, zuχuna (na.sg.) // zucieneszucieneś (dat.sg.)” “Modified form and translation to zuχiana ‘bloodletting cup’ based on zucieneś from CPer B.xi-xii and zuχuna of TLE 878. In the Cippus Perusinus, I reparse the misanalysed phrase “zuci eneści” as the words “zucieneś ci”. Thus the phrase points to a noun numbering three and which, by lacking a plural ending before the numeral, is therefore grammatically inanimate.” > trad. mia dall’inglese: “Forma modificata e traduzione in zuχiana ‘coppetta per salasso’  basata sulla forma di zucieneś di CPer. B.xi-xii e di zuχuna di TLE 878. Nel Cippus Perusinus, rianalizzo la frase erroneamente analizzata come “zuci-eneści” in “zucieneś-ci”. Pertanto la frase indica un sostantivo che numera tre (ci) e che, mancando di una desinenza plurale prima del numero, è quindi grammaticalmente non declinato.”]” 

Tuttavia non si spinge a fare la traduzione del testo completo della Tabella di Santa Marinella.

In un post del 10/06/2010 del suo blog poi spiega la traduzione del termine zuci, sia riguardo al Cippo di Perugia sia al Disco di Magliano, come “incenso”:

“After revisiting the noun zuci, I think I’ve settled on an uneventful translation of ‘incense’, for many reasons that I’ll explain. Naturally its derivatives like zuciana and the verb root zuc- should likewise then revolve around incense and smoke.
My first reason, as always, concerns what fits the semantic context best. In this way, for example, the sentence Zea zucieneś ci aθumi-cś Afunaś penθna ama in the Cippus Perusinus (TLE 570) may mean ‘[They] light fire (zea) to [the] three incense-burners (zucieneś ci) for the sky (aθumi-cś) [and] for the Apuna [family] (Afunaś) who are underneath (penθna ama).’ Also, on the Lead of Magliano (TLE 359), we find the short sentence towards the center of the spiral script: Eθ zuci am ar. This might be translated ‘Herein () incense (zuci) is (am[a]) to be raised up (ar) (ie. to be burned).’
Beyond Etruscan however, I’ve recently discovered Hittite tuhhi- ‘incense’ and I’m starting to suspect that it has something to do with this. It’s not the first evidence of Hittite substrate in Etruscan I’ve found and this could help date the word back to the 2nd millennium BCE, at a time when the ancestor of the Etruscan language was still in Asia Minor. Here, the replacement of word-medial -h- with a velar stop is what we’d expect of Aegean languages which bar this sound in these positions. The eventual change of Hittite’s /t/ to Etruscan z (ie. /tʃ/) would be a matter of some sort of lenition (unless there’s an additional hidden intermediary here).
This possible loanword is also interesting considering that we see the same Hittite word loaned into Ugaritic as dġṯ ‘incense'[1] and that it has already been noted as a Mediterranean Wanderwort. The word gets around! As far as I’ve read so far, the Ugaritic word has no Semitic cognates and so this implies a vocalism of *duɣiθu, mirroring the Hittite nominative form tuhhis.
It’s probably not the final word on this but I venture on to search for better translations.”

Tuttavia zuχiana è una parola ricostruita e non si capisce come possa entrare una coppetta per salassi per ben tre volte in un testo scritto su di un cippo di confine; inoltre nel Cippo Perugino le parole zuci ed enesci sono divise molto chiaramente da puntini ben visibili, per cui l’ipotesi di Gordon è forzata. Devo anche segnalare che la reputazione mediatica di questo studioso non è delle migliori.

3) e poi l’apparentemente meno accurato e più aleatorio Etruscan Glossary di Rick e Silvia Mc Allister (del resto mi sento di concordare col prof. Pittau quando dice:  «è molto meglio una ipotesi azzardata, che non alcuna ipotesi; infatti, da una ipotesi azzardata – che alla fine potrebbe anche risultare errata – prospettata da un linguista, potrà in seguito scaturire una ipotesi migliore e addirittura quella vincente, prospettata da un linguista successivo»), che raccoglie, apparentemente senza criterio né riferimenti bibliografici, traduzioni di vari autori tra i quali anche Glen Gordon ed Adolfo Zavaroni; di questo dizionario esiste anche una versione aggiornata.

4) ancora l’ Etymologie des noms romains d’origine étrusque [article] (1956) di Albert Carnoy, che asserisce alla voce “Sociennus, Socconius, Sociellus, Succonius” che

“L’etr. zuchna significa ‘altare’ e zuchu(n) è un ‘prete’ (zu-c <sacrificare> dall’ie. dhu-∂co- , la radice dheu del gr. θυω <sacrificare>, θυηλη <offerta> e l’etr. z sta per dhu)” (traduzione mia dal francese del testo originale).”

Ma, anche in questi ultimi due casi, a causa della sinteticità dei testi non viene spiegato su quali basi venga stabilita la derivazione etimologica dato che in altre lingue sicuramente indoeuropee non si ha lo stesso esito; soprattutto nell’ultimo caso non viene argomentata la corrispondenza tra la Z etrusca e la DH protoindeuropea (pur sempre possibile): se in greco esita in Θ (theta), avrebbe potuto farlo anche in etrusco, che utilizzava nei propri alfabeto e lessico la medesima dentale aspirata; inoltre il suffisso -na è aggettivante, tradurre zuchna (che abbiamo visto essere una sincope di zuchuna) come un sostantivo ben diverso da “prete”, anche se attinente, mi sembra un po’ azzardato.

5) infine segnalo l'”Etymological Dictionary of Etruscan Words“, di Adolfo Zavaroni nella sua versione aggiornata del 2024 dove, come il professore mi aveva già anticipato nella sua mail del 2020, riprende le sue considerazioni nei seguenti lemmi:

ziχ (> zic. zik after deaspiration) v. pres. ‘to write, engrave’ and n. ‘inscription’ (LE 939, TCo); ziχina n. ‘inscription’ (TLE 331); ziχne pres.ger.part. ‘carving, incising’, nec. ziχri ‘must be carved, incised’ (LLZ); ziΧunce v. pret. act. ‘wrote’ (TCap); ziχuΧe v. pret. pass. ‘was written” (vessels. CiPer, TCo). Ziχu > Zicu n. (latinized as Scribonius) ‘Scribe’; gent. £. Ziχnei, gen.f. Ziχnal. The presence of -χ- suggests a derivation from *stegh*- ‘to prick, pierce, engrave’. I highly doubt that i instead of e in the lexeme *ziχ– was due to merging with *stejg- which has a similar semantic gride (cf. Gr. στιγ- ‘to stitch, mark, point, brand”).

zuci v. ‘to fix, decide’ (CiPer; HebaL). In the CiPer the formula zuci enesci is attested three times. The contexts lead me to assume that zuci is a verb (whose subject is plural) denoting ‘to fix, decide’, while enesci means ‘jointly’. Etr: zuc– could reflect PIE *stog– or be the outcome of deaspiration *zuc– < *zuχ– < PIE stogh”- (see Zuχne). In the latter case the semantic grid includes ‘to prick, poke, plant; pole’ with easy shift to ‘fix, determine”. In the first case Etr. zuc– would recall PGer. *stuk(k)ōn– ‘to stick” which Kroonen (2013: 487) sees in Du. stokken ‘to come to a halt’, MoG. stocken ‘to coagulate; to stop’, defining it “an iterative derived from the secondary strong verb *stekan-”. Since I don’t know when the “secondary strong verb *stekan-” would have been formed and when PGer. *stuk– was acquired in Etruscan, I have some doubts, but I suppose that Etr. *zuc– had the meaning of ON stika ‘to plant poles’, OE stician ‘to stick, prick*, MoG. stecken ‘to stick, plant’, E. stuck ‘fixed, planted’, etc., with the semantic enlargement to determined, fixed, agreed upon’. In conclusion, I interpret zuci enesci as ‘(they) fix jointly”.

zucre[ n. > cogn. ‘pole, sfaff’? In the onomastic formula av. sure zucre[ (ET Ar 1.24) zucre probably is the cogn. of sure or forms a compound gent. In both cases sure recalls Lat. surus ‘post, stake”. Assuming zucre < *stuk-re– has the stem of zuci ‘to fix, plant’, Sure Zucre could mean ‘Fixed Prop’ or the like.

zuχne pres.ger. part. ‘fixing” (YCap). Etr. *zuχ- reflects PIE *stogh’-, o grade of *stegh– ‘to prick. poke, plant; pole’. Cf. Gr. στóχος ‘erected pillar, post, mark, fixed target’, ODan. stag ‘point, germ’; OHG stanga, ON stong ‘stick, pole’, ON stringa, OE stingan ‘to sting”, etc.. In CZE 6310 (6th CBC) zuχuna n. ‘fixing, aiming’ is followed by the genitive aθemeiscas ‘accurate re-search’. In REE 71 n.26 the reading zuχune (ger.pres.) ‘stabilizing’ is preferable to zuχuna (but the final letter is indecipherable). This term refers to a cube tomb, isolated on all four sides, that had problems with stability (Caere, 6th CBC). In CIE 2633 the cogn. Zuχu associated with Pumpu “companion, escort, guide’ could mean ‘he who directs, fixes the goal’ or ‘fixed’. The compound fam.n. Velscu Zuχu (CIE 2123) means ‘Uprooted Pole (or peg, etc.)” rather than ‘he who plants what-has-been-uprooted’®. The first option is preferable, being more compliant with the gent.+cogn. Zuχu Mutu ‘Truncated Pole’ (6*1/5’* CBC; CIE 5037). The m. gent. Zuχni, gen.m. Zuχnis, gen.f. Zuχnal obviously derives from zuχne ‘fixing’. In the gent.+cogn. Zuχni Resna (CIE 2248) the meaning of Resna is not certain: I opt for a derivation from *regh-s-n– (< *regh– ‘to jut out’ of PGer. *raho– ‘pole, ray: cf. ON ‘berth in a ship’, Far. ‘yard; stick, cudgel’, MDu. ‘stick; yard’, MHG rahe ‘id.’) rather than from *rehsn– < *reksn– (< *rek– ‘put in order, order, determine, decide’: cf. Go. ga-rehsns ‘decision’). In the first case Zuχni Resna would mean ‘Fixing Stick”, in the latter case ‘Fixing Determining”.

Relitti toponomastici

Sugàno (Orvieto, TR)

Questo piccolo borgo medievale si trova a 10 km da Orvieto (anche meno, in linea d’aria) e porta un toponimo che non può lasciare indifferenti mentre si cercano le origini del gentilizio etrusco e che risulta attestato almeno dalla seconda metà del XIII secolo. Presenta il tipico suffisso prediale -ano che potrebbe sicuramente testimoniarne una latinizzazione, ma la radice è una riconoscibile sug- < zuχ-/suc- (l’etrusco non aveva il fonema G) del gentilizio di un possibile proprietario etrusco Zuχu/Sucu; inoltre in antico la -g- era una -c-, come documentato in una lettera del 1549 indirizzata a Papa Paolo III Farnese, in cui si parla del rinomato vino Sucàno. Per la vicinanza con Orvieto e la necropoli della Cannicella in cui è stata ritrovata l’iscrizione precedente, ed anche per la collocazione acroterica dell’abitato originario (simile a quella di Orvieto), mi sento di azzardare il toponimo come non solo di origine etrusca, ma anche come possibile testimonianza della connessione con la famiglia, se non l’individuo, della gens Zuχu. Non so ancora dire chi dei due abbia trasmesso il nome all’altro, ma vale la pena indagare.

Egnatio Danti, Urbisveteris Antiquae Ditionis Descriptio, 1583

Appena fuori dal borgo si trova un podere a cui è stato dato il nome di Madonna del Latte. Da me contattata, la gentilissima proprietaria mi ha spiegato che il toponimo, registrato a catasto, deriva da un’immagine (non sa dire se dipinta o scolpita) di una Madonna Lactans che doveva trovarsi in una piccola cappella o edicola, ora inglobata dal cimitero di San Quirico. Come in molti altri casi, questo genere di icona sacra venne ritenuta sconveniente dopo il Concilio di Trento e si provvide a smantellarne le immagini, od a riconvertirle coprendo il seno ed addirittura cambiandone la dedicazione, ma la devozione popolare continuò ugualmente tra le puerpere senza latte ed a protezione della fertilità e dell’allattamento. Questo tipo di rappresentazione ha una storia antichissima che risale all’antico Egitto, con Iside adorata mentre allatta il figlio Horus, ed anche al periodo etrusco e romano, con la dea Uni / Giunone intenta ad allattare Ercole. Nell’antichità questo tipo di culto era di solito insediato in grotte e presso sorgenti d’acqua che, non a caso, veniva considerata come il latte della Terra ed a Sugàno, pur mancando la grotta, le sorgenti d’acque termali sono numerose; in particolare la via che costeggia il cimitero dove pare si trovasse l’immagine della Vergine si chiama Via Delle Acque e proviene dalla zona in cui si trova una delle sorgenti, la fonte Tione. Non so ancora quanto antichi siano questo idronimo e quell’odonimo, ma ne sto ricercando i documenti.

Se questa connessione tra toponimo e gentilizio fosse confermata, aumenterebbe la possibilità che il significato della radice fosse legato all’ambito semantico del latino sucus,-i = succo, linfa, poiché facilmente riconducibile all’acqua, al sangue ed anche al latte, senza dimenticare il vino. Sul fondo della valle ai piedi del borgo scorre anche il torrente Sugano che, per il fatto di avere la terminazione in -ano, ritengo abbia preso il suo idronimo dal prediale; ma non lontano, in regione Toscana, si trovano idronimi che sembrano slegati da toponimi prediali romanizzati:

1) il torrente Socenna (ma sulla CTR Toscana Sucenna) (SI), con l’affluente fosso della Socenna (ma sulla CTR Toscana Sucenna), che scorre in comune di Radicofani (SI) e costeggiando la provinciale 53 si getta nell’Orcia;

2) il toponimo Socena (AR), ad est di Arezzo, al centro di una zona collinare ricca di sorgenti. Di questo toponimo in “BibAr, Biblioteca Archeologica Online, Volume VII: Radicofani“, Lucia Botarelli, Nuova Immagine Editrice (SI) – 2005, si dice:

“…
pag. 129
“Tra gli andronimici etruschi diffusi nell’area chiusina, interessante appare la presenza del gentilizio Sucnei, Zuchna/-nei, attestato cinque volte nel CIE. Si tratta di cinque brevi iscrizioni funerarie, incise su urnette in pietra o tegole sepolcrali, recanti semplici formule onomastiche, redatte tramite l’uso dell’alfabeto recente (CIE 414, 1194, 1195, 2248, 2249). Per l’esattezza esse provengono in due casi dall’abitato di Chiusi, in due casi dall’agro chiusino e, in un caso, da Bettole, che, pur facendo parte del territorio di Arezzo, ebbe sicuramente stretti rapporti con quello di Chiusi. A Radicofani, infine, è attestato l’idronimo Socenna, che Pieri riconduce appunto al gentilizio Sucnei, Zuchna/-nei (Pieri, 1969, p. 39). Per quanto non si possa istituire un collegamento diretto tra la zeta incisa sulla coppa a vernice nera proveniente da località La Palazzetta e il gentilizio in questione, appare comunque suggestiva la presenza, a poche centinaia di metri di distanza dal luogo del rinvenimento della coppa stessa, di un idronimo derivante per l’appunto da questo gentilizio. Cfr. pp. 189-190″.
pag. 181 “L’idronimo Socenna, infine, indica tuttora un affluente di sinistra del fiume Paglia (in realtà sfocia nell’Orcia, nota mia). È riconducibile al gentilizio Sucnei, Zuchna/-nei, poi trasformatosi in latino in Socennius (Poti, 1969, p. 39) (aggiungerei Succonius, Socconius, nota mia). L’andronimico etrusco è documentato in cinque iscrizioni, di cui due provengono dall’abitato di Chiusi, due provenienti dall’agro Chiusino e una da Bettole, nel comune di Sinalunga (CIE nn. 414, 1194, 1195, 2248, 2249). Si tratta anche in questo caso di brevi iscrizioni, recanti semplici formule onomastiche, incise su urnette in pietra o tegole sepolcrali e redatte tramite l’uso dell’alfabeto recente. Nel CDA è attestato un casale Saucine (n. 46, anno 796)../..Il Codex Diplomaticus Amiatinus, inoltre, riporta anche il nome di un casale indicato come Saucine, probabilmente in riferimento all’area limitrofa al corso del torrente Socenna (CDA, I, n. 46) (ma io ritengo si tratti del secondo toponimo da me indicato: Socena, nota mia)”.
pag. 187 “Dall’analisi della distribuzione dei siti di età etrusca, soprattutto di quelli di probabile età ellenistica, sembra probabile che il percorso transitante per Le Conie e diretto verso il corso del Formone proseguisse anche in direzione nord, in modo non dissimile dalla attuale strada provinciale 18, transitante sui rilievi che costituiscono lo spartiacque tra Formone e Orcia. Un altro tracciato, forse poco più di un sentiero, doveva invece correre parallelamente al corso del torrente (magari secondo l’andamento della attuale via vicinale dei Marmi, posta sui primi rilievi a est del corso d’acqua), come testimonierebbe la presenza di più abitazioni nelle immediate vicinanze. Questo percorso, evidentemente a uso solo locale, metteva invece in comunicazione Radicofani con le comunità poste nella parte più settentrionale del territorio di Sarteano.”
pag. 189 “Si potrebbe forse immaginare che essa (la ceramica a vernice nera, nota mia) venisse considerata una sorta di merce pregiata da parte degli abitanti locali, affiancati magari proprio in questo periodo. Interessante, a questo proposito, appare la presenza di una piccola lettera iscritta sul fondo di una coppa a vernice nera proveniente da una casa di medie dimensioni localizzata a poca distanza dal corso del fiume Orcia. Per quanto la forte usura superficiale del frammento non consenta una lettura agevole, sembra comunque di poter ricondurre il segno pre-sente a una piccola “zeta”, riconducibile a un gentilizio piuttosto diffuso nella zona come Zuchna, Zuchnei. Si tratta di un andronimico attestato in cinque brevi iscrizioni funerarie provenienti in due casi da Chiusi, in altri due dal territorio Chiusino e in un caso da Bettole127, che faceva forse già parte del territorio di Arezzo ma che ebbe sicura-mente intensi contatti anche quello di Chiusi128
127 CIE, 414, 1194, 1195, 2248, 2249. Le iscrizioni sono tutte incise su urnette in pietra o tegole sepolcrali e recano delle semplici formule onomastiche, redatte tramite l’uso di lettere dell’alfabeto recente.
128 Bettolle sorge su di una collina in posizione strategica a poca distanza dal corso del Clanis. I corredi delle tombe note nella zona testimoniano infatti frequenti e facili rapporti con Chiusi, grazie al rinvenimento di vasi in bucchero decorati a stampo di produzione chiusina (PAOLUCCI, 1996, pp. 136-137, con bibliografia).
pag. 190 …Il gentilizio è inoltre documentato proprio all’interno del territorio comunale di Radicofani dal fossile linguistico Socenna, oggi un idronimo che designa un torrente immissario del fiume Orcia. A ogni modo, la presenza di una lettera redatta con alfabeto etrusco a indicare un gentilizio anch’esso etrusco appare indicativa della tendenza, riscontrata anche in altre zone dell’Etruria, al conservatorismo linguistico 13°.”  

3) il torrente Suga (SI), con l’affluente fosso del Sughino, che lambisce Montalcino gettandosi nell’Ombrone nei pressi di Badia Ardenga;

4) il torrente Sugana (FI), con l’affluente borro Suganella, che si getta nel Pesa all’altezza di Cerbaia di San Casciano;

5) il toponimo Pieve di Sòcana (AR), in antico Soca, area archeologica che fa parte di quelle pievi battesimali (cioè quelle dotate di fonte battesimale, quindi legate a riti lustrali fin dall’antichità) distribuite lungo la strada tra Arezzo e la Romagna, i quali, secondo il Pittau, “sono da confrontare con i gentilizi etruschi Savcne(-s), Sucn(-ei), Zuχna (ThLE2 169,352, 373), come anche la Val Sugana (TN), posta in territorio retico” (“Toponimi toscani di origine etrusca“, M. Pittau, ed. Ipazia – 2018, pag. 57);

6) Sugame (poggio di 580 mt, da cui sgorga l’omonimo borro di scolo, passo tra Chianti e Valdarno sulla SP 16, ed anche gruppo di case) in comune di Greve in Chianti (FI).

Ciconìa, Orvieto (TR)

Anche questo toponimo, con cui si identifica una frazione appena fuori la rupe di Orvieto, al di là del fiume Paglia, è interessante ai fini della ricerca per un’assonanza ravvisabile con Cìcogni (PC), anche se l’accento cade diversamente, di cui ho scritto nella pagina FUNDUS SUCCONIANUS. Anche in Toscana è presente un Cicogna (AR). Una raccolta esaustiva sul toponimo nella pagina PIACENZA.

Conclusioni temporanee

Volendo riassumere, l’area semantica in cui la maggior parte dei traduttori colloca i derivati della radice zuχ-/suc- è quella del sacro, con riferimenti a sacerdote, divinatore, officiante sacrifici, sacrificio, libagione.

Nella pagina successiva SUCUS cercherò di argomentare più approfonditamente la corrispondenza col sostantivo latino che potrebbe aver fornito a quello etrusco la traduzione del significato, senza escludere altre possibili corrispondenze e derivazioni.