ETIMOLOGIA

Una storia.

Il lemma zucca, a fronte della sua semplicità, ha un’origine etimologica che da tutti i dizionari viene definita incerta poiché il termine latino che le corrisponde come significato è il difforme cucurbita. Quest’ultimo, secondo l’opinione più diffusa, subisce una metatesi semplice tra la C e la Z passando attraverso il lemma tardolatino cucutia: lat. cucurbita > lat. tardo cucutia > volg. cucuzza > aferesi della sillaba iniziale atona [cu] *cuzza(?) > metatesi semplice zucca. Il lemma cucutia però compare una sola volta all’accusativo plurale (cucutias in Plinio Valeriano, De re medica V 42, un testo probabilmente del IV sec d.C.) e non si ha la certezza che sia una forma volgare del lemma classico cucurbita, né che indichi specificamente solo la zucca.

Tuttavia la metatesi, se questa fosse la spiegazione corretta, si sarebbe verificata solo nei dialetti del centro-nord  ed infatti, in quelli del centro-sud, si è conservata la forma cocuzza. Per questo motivo la vera origine di zucca andrebbe cercata possibilmente anche in un altro lemma latino e, a tal proposito, cito l’interessante articolo della professoressa Rosa Ronzitti, dell’università di Genova: Italiano ZUCCA: un’etimologia impossibile?“. Ad esso rimando per un approfondimento, ma di seguito propongo il suo riassunto e qualche considerazione mia.

Aferesi e metatesi

Come accennavo all’inizio, in quasi tutti i dizionari etimologici si propone e si dà per scontato che la derivazione della parola zucca parta dal lat. classico cucurbita, passi attraverso il lat. tardo cucutia (lessema attestato solo in Plinio Valeriano, all’accusativo plurale: De re medica V 42: omne legumen…quod restrictionem facit… cucumeres, cucutias, sorba) e giunga poi nel dialettale cocuzza, con aferesi della prima sillaba co- e metatesi reciproca di z con c: cucurbita>cucutia>cocuzza>cozucca>zucca. Ma questa proposta presenta delle difficoltà, estesamente spiegate nell’articolo, che si possono riassumere così: sebbene il significato dei lemmi cocuzza e zucca possa essere lo stesso, le linee di derivazione dovrebbero essere diverse. Infatti la diffusione dei due lemmi è molto nettamente separata tra centro-nord e centro-sud, il che mette in discussione l’occorrenza di una metatesi reciproca perché non si spiegano i motivi per cui si sarebbe verificata solo al centro-nord (l’ipotesi di un’aferesi di co- è invece possibile a nord solo in ristrette zone del Piemonte e del Friuli, dove il lemma dialettale per zucca è cusa, cossa, ma è molto significativo che in questi casi non si verifichi la metatesi).

Linee etimologiche

A seguito di quest’analisi la professoressa propone quindi due linee derivazionali:
1) per cusa, cossa settentrionali e cocuzza centromeridionale l’antenato è una base *kutja, forma di latino sommerso (da una definizione del prof. Aldo Prosdocimi), attraverso il latino classico cutis = “pelle, superficie, involucro, guscio di frutto”, dal pie. *(s)keu-t- = “coprire, avvolgere” o da *gēu- = ” rigonfiamento”; in tal caso cucutia sarebbe solo una forma raddoppiata del tema *kut- (>*ku-kut-) e non la parola originaria da cui cusa/cossa si sarebbero formate per l’aferesi di co-. Questi termini dialettali deriverebbero quindi dall’aspetto che hanno le zucche a fiasco (Lagenaria ssp.) le quali, una volta essiccate, si caratterizzano per la durezza e l’impermeabilità della scorza o per la forma tipicamente bombata e rigonfia, che consente loro di essere utilizzate come contenitori, oppure ancora dal modo in cui la pianta emana il proprio fusto ed i viticci che le consentono di avvolgersi attorno a qualsiasi sostegno.
2) per zucca centrosettentrionale invece, a causa del fatto che “nell’Umbria s’usa di solito ciucca” (cit. DEI, Carlo Battisti) assonante con ciucco (etimologia incerta) = “pieno di liquido, ubriaco” (come già visto in precedenza C, S e Z sono esiti romanzi comuni ed alternativi della sibilante sorda iniziale latina S), l’antenato potrebbe essere sūc(c)us,-i, dal pie. *seu(H)- = “succo, umido”, indicando così lo stato fresco del frutto della Lagenaria od il suo uso dopo l’essiccazione come contenitore di liquidi vari (inoltre, con riferimento all’aggettivo succosus, = “succoso, ricco”, non a caso fra i significati colloquiali di “zucca” c’è anche “somma di denaro di non lieve entità/esclamazione di meraviglia” anche se, in quest’ultima accezione, l’origine potrebbe essere diversa).

1)

“…
(s)keu-2, (s)keu̯ǝ : (s)kū
English meaning: to cover, wrap
Deutsche Übersetzung: “bedecken, umhũllen”
Material: O.Ind. skunüti, skunṓti, sküuti “bedeckt”; doubtful ku-kūla- “Hũlsen, armament, armor”, püṃ su-kūla- “Lumpenkleid the buddhist. Mönche”; Arm. c̣iw “roof, cover” (*skēu̯o-); with anl. kh-: Arm. xuc̣ ‘stube” (*khū̆-sk̂ho-, at most zur s-extension), fraglicher xavar “dark” (*khou̯o-, forms Arm. -ar), xu-p” “cover”, xul, xlik “cottage”, xlay (*khū̆lati-) “ female Kopfverhũllung, Schleier; dress”;
Gk. σκύ̄νια pl. “ brows “, ἐπισκύνιον ‘skin oberhalb the Augenbrauen” (compare O.Ind.
skunǘti); σκύλος n. “Tierhaut, bowl”, σκύλον “abgezogene Tierhaut”, σκῦλον ds. “dem Feind
abgenommene Rũstung”; doubtful κ῵ας, pl. κώεα “Fließ”;
Lat. obscūrus “*bedeckt” = “dark”; cūlus “the Hintere”; 
…”
(“Proto-Indo-European Etymological Dictionary“, DNGHU ADSOQIATION – INDO-EUROPEAN LANGUAGE ASSOCIATION – 2007, pag. 2726)
“…
gēu-, gǝu-, gū- (*sgēu-)
English meaning: to bend, curl; a kind of vessel
Deutsche Übersetzung: “biegen, krũmmen, wolben”
Note: Root gēu-, gǝu-, gū- : to bend, curl; a kind of vessel probably derived from Root (s)keu-2, (s)keu̯ǝ : (s)kū- : to cover, wrap
Phonetic evidence: M.H.G. kobe ‘stall, pigpen, cage, cavity” : Clr. kúča “ pigpen”
(Trautmann 145)
…”
(“Proto-Indo-European Etymological Dictionary“, DNGHU ADSOQIATION – INDO-EUROPEAN LANGUAGE ASSOCIATION – 2007, pag. 1047)

2)

“…
seu-1, sewǝ– : sū-
English meaning: juice; liquid, *rain
Deutsche Übersetzung: ‘saft, Feuchtes”; verbal: ‘saft ausdrũcken” and “regnen; rinnen”, in Weiterbildungen “(Saft) schlũrfen, saugen”
Material: 1. Gk. ὕει “ it is raining “, ὕω “ allows to rain “ (*sū-i̯ō), ὑετός “heavy rain” (*suu̯-etos, as νῐφετός); Alb. shi “rain” (*sū-); Toch. В swese “rain”, sū-, swüs- “rain”; to ὕει perhaps ὕθλος (ὕσθλος, ὕσλος Gramm.) m. “empty gossip” (as though “ letting drip monotonously “);
Note:
The old laryngeal became a sibilant in satem languages : *heu- > seu-. Illyr. Savus (*Sou̯os) displays satem characteristics : Alb. shiu “rain”.

4. Guttural extension: seuk-, sūk- and seug-, sūg-:
Lat. sūgō, -ere ‘suck”; Lat. sūcus “juice, sap”, Welsh sugno, M.Bret. sunaff, Bret. suna ds., sun “juice, sap”, Welsh sugnedydd “pump” (*seuk-n-; Welsh g from dem Lat. Lw. sug “juice, sap”), O.Welsh dissuncgnetic “ exhaust, suffer through, endure “ (morphologically difficult group); O.E. sūcan, Dutch zuiken ‘suck”; O.E. socian (*sukōn) “ steep, absorb, suck “, gesoc n. “the sucking”, O.Ice. sūga (sjūga) ‘suck”, sog n. “ the sucking “, O.E. O.S. O.H.G. sūgan ‘suck”, Kaus. Nor. dial. søygja, M.H.G. söugen “ suckle “, M.H.G. suc, soc, g. soges and souc, -ges “juice, sap”, O.E. sogeða m. “gulp”; Ltv. sùkt ‘suck”; O.Pruss. suge f. “rain”. Maybe Alb. shushunjë “leech, bloodsucker” : Lat. sanguisuga [sangui “blood + suga ‘sucker”]”.
…”
(“Proto-Indo-European Etymological Dictionary“, DNGHU ADSOQIATION – INDO-EUROPEAN LANGUAGE ASSOCIATION – 2007, pag. 2639)

Un’ulteriore testimonianza dell’incertezza sull’etimologia di zucca come derivata da cucuzza si trova in “L’origine dei cognomi italiani, storia ed etimologia” Ettore Rossoni, Melegnano – 2014, che alla voce relativa al cognome Zucca (e Zucconi) dice:

“ZUCCA: tsùcca, tzùcca, zùcca = zucca. Dall’italiano. In latino abbiamo le voci cucutia (tardo latino) e cucurbita. In proposito i linguisti fanno confusione. Il vocabolario della lingua italiana TRECCANI alla voce zucca fa seguire: dal tardo latino cucutia, vedi cocuzza. Se andiamo a vedere il vocabolario latino di Ferruccio Calonghi (fra i migliori in Italia), troviamo la voce cucutia, frutto a noi sconosciuto (sic). Mentre alla voce cucurbita corrisponde zucca, che noi in Campidano chiamiamo crocorìga, che è la vera voce sarda per zucca (da cucurbita). Nella lingua sarda invece cucutia è sa cugutzua = il frutto del cardo selvatico, che niente ha a che vedere con zucca > crocorìga. Insomma sulla parola zucca, nei vari vocabolari c’è parecchia confusione! Non abbiamo trovato il cognome Zucca negli antichi documenti della lingua e della storia della Sardegna, per lo meno in quelli da noi consultati. È probabile che il cognome Zucca non sia di origine sarda, bensì lombarda o piemontese, nelle cui regioni è molto diffuso (in effetti è diffuso solo nell’estremità nord dell’isola, nota mia). Non sappiamo con esattezza quando sia arrivato in Sardegna, nella cui lingua, come già detto non esiste la voce zucca, ma crocorìga o corcorìga dal latino cucurbita.” 

Anomalia quantitativa

Se sucus (consonante C scempia) è un buon candidato etimologico per zucca, ancora di più lo sarà nella sua forma succus (consonante C geminata) che, da un certo momento in poi, viene utilizzata al posto di quella classica con una sola C ed a causa di questo viene considerata sbrigativamente forma tarda. Il processo di geminazione però, di solito, provoca una compensazione quantitativa che trasforma la vocale precedente da lunga a breve: da sūcus si dovrebbe passare a sŭccus, ma ciò non avviene e la vocale resta lunga in sūccus. Questa anomalia (presente in pochi altri casi) richiede una spiegazione più complessa riportando l’origine della geminata ad un recostrutto preindoeuropeo, in cui la lunghezza della ū deriva da un dittongo ou, e la doppia c nasce da un’assimilazione di un’originaria occlusiva dentale o labiale radicale alla velare sorda del suffisso: *se/out-ko-,*se/oud-ko- o *se/oup-ko-, *se/oub-ko-. Se le cose stessero così, la forma con C geminata sarebbe antica quanto l’altra con C scempia e potrebbe essere emersa nel latino scritto solo tardivamente, costituendo così il vero modello per il romanzo zucca:

“…si ricordi quello che dice il Battisti nel lemma del DEI prima citato: «nell’Umbria s’usa di solito ciucca». La variante con affricata postalveopalatale sorda esiste poi indipendentemente ed è realizzata nell’aggettivo ciucco ‘ubriaco’, cioè ‘imbevuto di liquido’. Ci chiediamo se questa omonimia sia casuale o se invece il fitonimo zucca e l’aggettivo ciucco, la cui etimologia non è mai stata chiarita in maniera convincente, non provengano entrambi da un tema aggettivale *SŪCCU/-A ‘pregno, pregna di liquido’. La specializzazione semantica andrebbe di pari passo con quella morfologica: il femminile *SŪCCA indicherebbe il frutto ricco di liquido, mentre l’aggettivo *SŪCCU la qualità dell’ubriachezza.” (cit. prof.ssa Ronzitti, Italiano Zucca: un’etimologia impossibile?)

Sucta

A questi argomenti, sicuramente fondati, vorrei aggiungere la mia * riflessione su quest’ultimo tema: anche il participio passivo di sūg-o,-is, cioè suctus (che potrebbe corrispondere all’antroponimo etrusco zuχu/sucu se questo originasse da un participio passato del verbo zuχ/suc, vd. la pagina ZUΧU), declinato al femminile singolare o al neutro plurale sucta e per assonanza e sinonimia con siccata (<siccatum<siccare = “seccare, togliere il liquido”) potrebbe aver dato origine ad un lat. volgare succa, cioè “asciugata, seccata, asciutta“, da cui zucca per indicare l’ortaggio nella sua forma essiccata, quando è pronto per essere utilizzato come contenitore di liquidi (gli usi dell’ortaggio erano molteplici).

“…
seikʷ-
English meaning: to spill, pour, draft
Deutsche Übersetzung: “ausgießen, seihen, rinnen, träufeln”
Material: O.Ind. sḗcatē, siñcáti (asicat) “gießt from, begießt”, sḗka- m. “Guß, Erguß, Besprengung”, praseka- m. “Erguß, Ausguß”; Av. haēk-, hinčaiti (hičaiti) “gießt from”, frašaēkǝm Absolutiv “beimVergießen”, hixra- n. “flũssiges Exkrement”; Gk. ἷξαι διηθ῅σαι Hes., Ion. ἰκμάς “ dampness “, ἰκμαλέος “humid, wet”, ἰκμαίνω “benetze”, τρύγοιπος “Mostsieb”;
Lat. siāt “οὐρεῖ”; siare is probably from *sīcāre after meāre “mingere” reshaped; siccus “dry”;
Gaul. (goidel. or Ven.-Illyr.) FlN Sēquana ‘seine”, GN Sinquātis; FlN *Siparis ‘sèvre” = Ir. FlN Sechair; O.H.G. sīhan ‘seihen”, O.E. sēon ds., intr. “ausfließen”; O.H.G. O.S. O.E. sīgan “tröpfelnd fall, sink, flow”, O.Ice. sīga “low, base or vorwärts glide, slide” (Ger. versiegen for older verseigen after dem Ptc. M.H.G. versigen), O.H.G. gisig “palus, stagnum”, Nor.-Swe. sil (*sīhila-) ‘seite” (sila ‘seihen”, wherewith Nor. sila “unaufhörlich rain” under likewise probably identical is), E.Fris. sīl ‘schleuse”, M.L.G. sīl ‘schleuse, Ablaufkanal”, sīlen “dränieren”; O.E. seohtre f. (*sihtrōn-), M.L.G. sichter, sechter “ drainage ditch “; O.Ice. sīa ‘seihe” (schw. Verb sīa ‘seihen”), O.E. seohhe f., O.H.G. sīha ‘seihe” (*sī̆h-u̯ōn-); M.L.G. sēge “triefend, blear eyed, bleareyed “, M.L.G. M.H.G. seiger ‘slowly or tenacious tröpfelnd, faint, languid, schal”, O.Ice. seigr “tough”; in Gmc. also forms with Gmc. k: O.H.G. M.H.G. seich “urine” (O.H.G. seihhen, M.H.G. seichen, nd. sēken “urinate, pass water”), O.E. sicerian “einsickern”, nd. sīkern, Ger. sickern, Nor. sikla, Swe. sikkla “geifern; trickle “ = nd. sikkelen, Nor. dial. sikla ‘small stream, brook”, sīka ‘seihen”, O.Ice. sīk n. ‘stehendes water”, O.E. sīc “ watercourse “ etc.; nasallos Serb. osjeka “Ebbe” (*sēkā); Church Slavic sьčǫ, sьcati “urinate, pass water”, Iter. Slov. síkati “hervorspritzen”; besides eine root seikʷ- “dry”, die probably about “abrinnen, versiegen = austrocken” mitseikʷ- “diffuse” to unite is: Av. haēčayeiti with us “trocknet from” (trans.), haēčah- n. “Trockenheit, aridity “, hiku- “dry”; because of seip- lies probably *sei- “drip, trickle, rinnen” the basic. References: WP. II 466 f., WH. II 531, Trautmann 260.
Page(s): 893-894
…”
(“Proto-Indo-European Etymological Dictionary“, DNGHU ADSOQIATION – INDO-EUROPEAN LANGUAGE ASSOCIATION – 2007, pag. 2584)

Da me interpellata la professoressa Ronzitti (che ringrazio per la pazienza e l’aiuto) mi fa notare giustamente che il latino sucta sarebbe esitato in romanzo sutta (da cui l’italiano asciutta) e non succa, ma per le modalità d’uso della zucca bottiglia (Lagenaria) potrebbe aver avuto anche il senso di “succhiata/svuotata del suo succo (dial. sucata/ciucciata)”, plasticamente reso dal gesto di bere a collo. Da questa abitudine, se alcoolica, potrebbero derivare anche i termini dialettali ciucca, cioè “ebbrezza, sbornia”, e ciucco<sciocco, cioè “ebbro e quindi stupido”, ma anche “succhiato e quindi privo/privato di succo, insipido” [cfr. con “pane sciocco“, cioè pane senza sale, insipido] e pure il verbo dialettale ciucciare/ciocciare, quasi onomatopeico, indica la stessa azione, con particolare riferimento al poppante: la somiglianza tra una Lagenaria ed una mammella è immediatamente riconoscibile. Inoltre a dover essere succhiate per esplicare la loro funzione terapeutica erano anche le coppette fatte con piccole zucche (cucurbitulae), o con altri materiali che ne conservano però la forma, che si usavano per i salassi.

Dal punto di vista etimologico anche nel caso di sucta ci sarebbe un’assimilazione di un’originaria occlusiva dentale radicale alla velare sorda, anche se a posizioni invertite rispetto al recostrutto protoindeuropeo indicato dalla professoressa Ronzitti, e la permanenza di ū lunga avrebbe anche così una sua possibile spiegazione, mentre la sua esitazione nel romanzo zucca (dial. sùca) invece di sutta potrebbe essere spiegato dall’assonanza con lat. sicca/siccata = “succhiata/svuotata del suo succo (dial. sucata/ciucciata)”.

Sia come sia, sucus, succus, suctus e siccus sono tutti vocaboli che appartengono ad un’area semantica comune: il succo, ancora presente o già asportato che sia.

Diffusione geografica

Sulla diffusione delle due forme cocuzza/zucca si veda “Sulla geografia linguistica dell’italiano parlato“, Robert Rüegg, ed. Cesati e OLSI – 1956/2016 e la carta isoglottica relativa nell’Atlante Italo-Svizzero, AIS, carta n° 1372. Consultando proprio quest’ultima si potrà notare che la forma zucca scende fino a Ceverteri (640), la città più a sud dell’antica Etruria, mentre occupa praticamente tutto il centro dall’Umbria in su e tutto il nord (salvo alcune piccole zone in Piemonte e Friuli): la corrispondenza con le zone d’influenza etrusche e retiche è notevole e mi fa pensare che possa essere scaturita proprio dalla corrispondenza tra suctum e zuχu/sucu; quella tra suc(c)us e succo infatti esita nello stesso modo in tutta Italia, come si evince dalla carta n° 567 dello stesso atlante.

Cucurbita

Il termine con il quale veniva identificata in latino classico, cucurbita, potrebbe aver avuto origine invece da come la pianta tende a svilupparsi emettendo viticci che si arrotolano tra loro e su qualunque supporto incontrino, oppure dalla forma tondeggiante e piena della Lagenaria (cùccur, voce prelatina indicante un oggetto tondeggiante nella quale è abbastanza evidente la medesima radice dell’aggettivo lat. curvus e gra. γῦρος (pr. gyros) = “curvo”), indicando quindi più la specie vegetale così come si presenta in natura che non uno dei numerosi impieghi specifici del frutto. Un po’ come succede con le maracas, ad esempio, il cui termine, derivato dall’antico Tupi marakana o dal Guaranì mbaraka, significa “sonaglio”, e per identificare le quali, pur essendo fatte utilizzando piccole zucche essiccate o i frutti essiccati della Crescentia Cujete, nessuno usa il relativo termine botanico (vedi il “Dizionario ragionato universale d’istoria naturale“, Valmont di Bomarè, 1771, tomo duodecimo); anche per il sitār, il berimbau ed altri strumenti a percussione, tutti ottenuti da zucche, vale lo stesso ragionamento.

Confido di aver portato, per numero e fondatezza, abbastanza elementi di prova all’ipotesi di derivazione etnolinguistica del nostro cognome, ma per approfondire ulteriormente questa ricerca e proporre la mia traduzione personale e criticabile di zuχ-/suc-, rimando gli interessati alla pagina SUCCO dove aggiungerò un lemma controverso per cercare di trovare un’origine latina all’eventualità che zuχu/sucu fosse anche un nomen agentis.

Tuccha Tescum

ters-
English meaning: dry; thirst  

teus-
English meaning: to empty
Deutsche Übersetzung: “leeren”
Material: Av. Kaus. taošayeiti “makes los, läßt los” (*tousei̯ō), Inchoativ (*tus-sk̂ṓ) Av. tusǝn
‘sie verlieren die Fassung”, baluči tusag, thuaɣ “ abandon become”; O.Ind. tucchá-,
tucchyá- (*tus-sk̂o-, *tus-sk̂-i̯o-) “ empty, bare, lacking, deserted, abandoned, forsaken,
nichtig”, afghO.N. taš “ empty, bare, lacking”; Lat. tesqua n. pl. “Einöden” (*tu̯esku̯ü); O.E.
ðost “ manure”, O.H.G. dost ds. (“*Ausleerung”); O.C.S. tъštь “κενός”, Russ. tóšcij “ empty,
bare, lacking; lean, hager” etc. (= O.Ind. tucchyá-).

Questa pagina tocca l’argomento più delicato ed impalpabile di tutti. Spesso un cognome, un gentilizio, un nome famigliare, non subisce nel corso dei decenni e dei secoli le mutazioni ortografiche e semantiche che subisce la parola da cui quel cognome deriva, è una specie di fossile in cui si cristallizza la forma grafica ed il significato che quel lemma aveva quando fu scelto per qualche motivo come emblema di famiglia, e la scrittura contribuì a quella cristallizzazione. Per questo di molti cognomi oggi non si capisce più il significato e ci appaiono come parole vuote o misteriose, di una qualche lingua morta, che non ci parla più. Anche in epoche remote fu certamente così perché quando si cominciò ad usare la scrittura l’uomo parlava in molte lingue diverse già da centinaia di migliaia di anni.

Da molti decenni gli studiosi dibattono sulla questione se l’etrusco fosse una lingua indoeuropea o non indoeuropea (c’è chi sostiene una provenienza linguistica ugrofinnica o uraloaltaica), oppure ancora una mescolanza tra una lingua importata da un popolo immigrato (i famosi Tyrsenoi provenienti dalla Lydia) ed uno autoctono già residente da secoli sul territorio di quella che poi diventerà l’Etruria e, com’è ovvio, qualunque ipotesi sull’etimologia di zuχ-/suc- dipende proprio da quale di queste possibili origini si decide di considerare come la più probabile.

Dopo aver analizzato le corrispondenze si può passare a valutare le derivazioni etimologiche possibili, senza voler esaurire l’argomento né scegliendo una derivazione senza avere le prove, ma presentando ogni voce come ipotesi di lavoro.

In questo sito l’elenco completo di come si scrive e pronuncia zucca in tutte le lingue: zucca e gourd.

ETIMOLOGIA

Non potendosi per ora utilizzare il sistema ermeneutico o combinatorio per tentare una traduzione, a causa del fatto che zuχ-/suc- ricorre quasi solo in alcuni nomi propri, e prendendosi per buona la successione linguistica, che riporta il cognome italiano Zucconi ad un’origine etrusca passando attraverso il latino, si deve affrontare la non facile domanda se la lingua etrusca fosse o meno di ceppo indoeuropeo utilizzando il metodo etimologico comparativo poiché, anche solo per tentare di avvicinarsi ad un possibile significato, bisogna sapere in quale vocabolario andare a cercare. Tuttavia, pure se l’annosa questione fosse ormai definitivamente risolta, resterebbe sempre l’incertezza di poter applicare un criterio così generale ad ogni singola parola: nulla vieta, infatti, che il lemma di cui si indaga l’origine possa essere il risultato di un prestito linguistico. Dovendo fare i conti con due sole alternative, vediamo cosa si può dire di entrambi.

RADICE INDOEUROPEA

E’ l’opinione di un certo numero di linguisti, il cui decano è stato senz’altro il professor Massimo Pittau, che per ciascun numero della prima decina di numerali ritiene di aver individuato la medesima radice che si trova nelle altre lingue sicuramente indoeuropee (uno dei criteri base per stabilirne l’appartenenza), oltre ad altre corrispondenze.

Documentandomi meglio che posso nel corso della mia ricerca, credo di aver ravvisato due possibilità di derivazione:

1) Se la radice zuχ-/suc- originasse dall’indoeuropea *sewg-/sewk- (Pokorny, pag. 2639) bisognerebbe cercarne il significato paragonandola a quella più simile, se non identica, presente in molte lingue certamente indoeuropee, prima fra tutte il latino, la lingua che più di tutte ha avuto scambi con l’etrusco e di cui ho già esposto i risultati,

Inoltre vi sono altri termini correlati alla radice protoindoeuropea di succus:

Sus,-is = “maiale, suino”, meno probabile ma degno di menzione, soprattutto per la sua derivazione dal pie. *suH-/sewH-, simile a quella di succus<*sewg-/sewk- come si evince dalla consonante con cui si forma il diminutivo: suculus. La somiglianza è comprensibile se si pensa che è forse l’animale domestico che accumula più grasso corporeo (che durante la cottura si scioglie come un succo), oltre ad essere il più prolifico e dotato di mammelle.

Sūcĭd-us,-a,-um = “umido, sugoso, ricco d’umori”, ed altri lemmi connessi con sus (maiale) o sucinum (ambra gialla).

Sucin-um,-i = “ambra gialla” e Sūcĭn-us,-a,-um = “ambrato”. Nell’antichità sia l’ambra gialla sia soprattutto l’ambra grigia erano ricercate anche come materia prima per la produzione di profumi, che venivano quindi considerati quasi come “succhi” derivati da quei fossili.

Ed infine:

Soci-us : “socio, compagno” è la corrispondenza proposta dal prof. Pittau, convinto assertore dell’indoeuropeità dell’etrusco, nel tradurre zuχne e zucenas con il termine latino sociennus (che però non ha dato origine ad alcun gentilizio), e naturalmente mi inchino alla notevole esperienza e conoscenza del professore, ma non mi convince fino in fondo.

ma poi anche il greco, il celtico, il sanscrito, l’ittita, il luvio, il lidio, il tocario etc.

GRECO

ὀπός [-οῦ, ὁ] / χυμός [-οῦ, ὁ] / χυλός [-οῦ, ὁ]  sono i termini greci che indicano rispettivamente il succo, il chimo ed il chilo

ὀπός (pr. opòs) = “succo”, in particolare questa parola indicava quello lattiginoso del fico che veniva usato come caglio. Sembra molto diverso dal latino sucus ma, in realtà, lo spirito dolce presente sopra la prima omicron indica la caduta di un sigma iniziale, corrispondente alla del latino, come dimostrato dal relativo verbo σπάω/σπῶ (pr. spào/spò) = “tirare, succhiare“, (vd. anche σπόγγος e σπογγια = “fungo” e “spugna” ed i termini a loro correlati in georgiano ed armeno), mentre il pi greco sostituisce la C/Q/K in un fenomeno di sviluppo della lettera/fonema occlusiva labiovelare KW/occlusiva velare K indoeuropea (isoglossa centum/satem) riscontrabile ad esempio anche nelle parole lat. equus e gra. hippos {ἵππος [-ου, ὁ|ἡ]} entrambi indicanti il cavallo, che in alcuni casi ed in alcune lingue evolve in C/Q/K in altre in P/Π). 

Pertanto, applicando la psilosi ionica, aggiungendo ciò che manca e cambiando ciò che va cambiato: ie. *sokwos > gra. sopòs>hopòs>opòs =  lat. sucus.

Per quanto riguarda il termine zucca, poi, in greco si ha sia κολοκύνθη (pr. colokynte), sia σικύα (pr. sikya), con etimologia mediterraneo-pontica, da cui alcuni ritengono derivi direttamente la parola italiana. Interessanti anche: σῦκον [-ου, τὸ] (pr. sykon) = “fico“, la cui radice assomiglia molto a quella in questione anche se, nel caso di σῦκον, deriva dall’ebraico shiqmah = “sicomoro“; ed ἧπαρ [-ατος, τό] (pr. épar), per come è derivata la parola che lo traduce in italiano, fegato, perché ha la stessa radice di “fico”.

τύχη = “sorte”. segnalo questo vocabolo perché alcuni testi del passato lo citano come traduzione dell’etrusco zuχu, che a me sembra erronea.

SANSCRITO

उदक, udaka = “acqua, succo, linfa”; शुष्क, śuṣka = “asciutto/a, secco/a”; चूषति, cūṣati (cūṣ) = “succhiare”; शुक्, śuk = “succo biliare”; कुष्माण्ड, kuṣmāṇḍa (kōhaṇḍa) = Benincasa Hispida, “wax gourd, zucca cerosa”. Per un’etimologia di quest’ultimo termine vedi qui.

Pur non essendo un esperto, mi sembra di poter dire che anche in sanscrito, la lingua più antica tra tutte le indoeuropee, la radice suc- si ritrova nei vocaboli con significati simili a quelli latini e greci, con o senza metatesi reciproca di C ed S.

SLAVO

Tyky = “zucca”

ALTRE LINGUE

Altre lingue indoeuropee come tutte le celtiche, quasi tutte le slave e molte altre fanno corrispondere al lemma sucu significati imparentati tra loro e tutti al significato di succo, ma anche di suino, scrofa. Tra le lingue morte poi abbiamo: Ittita, suhha- (II 2 c ou d ?) = “versare, spruzzare, spargere”. Luvio, šuwa- = “riempire” [Hittita šuwai-, Sanscrito s’vayati]. Tocariośukene – nome; alternato locativo singolare <śūke> = “gusto; linfa, sangue; liquido; succo”.

2) Se invece la radice zuχ-/suc- derivasse dal proto-indoeuropeo *yewg- = “legare al giogo, unire, accoppiare”, allora andrebbe paragonata a quella latina iug- di iug-um,-i ed a quella greca ζυγ- di ζυγόν entrambe con significato di “giogo, unione, legame (anche figurato)”; oppure, se dal proto-indoeuropeo *sekw = “seguire”, allora andrebbe paragonata alla latina soci- di soci-us,-i/soci-enn-us,-i con significato di socio, compagno. Come ho già scritto precedentemente è l’ipotesi di traduzione che propone il prof. Pittau basandosi sulla possibilità che il latino sociennus derivasse dall’etrusco zucenas, gentilizio di un Venel Zucenas (in indubbio rapporto con la base onomastica zuχ-/suc-, secondo il Tarabella, presente in un’iscrizione di possesso arcaica di origine incerta edita da Falconi Amorelli, 1971, p. 359, n. 45, con ipotetica attribuzione a Vulci).

In questo caso però non vedo perché la trascrizione/traduzione in falisco e in latino di zuχuna/sucuna avrebbe dovuto prendere la forma fal. Zuconia e lat. Succonius dato che esisteva un’altra parola più calzante come fal. Socia e lat. Sociennus. Per questo la derivazione proposta dal prof. Pittau non mi convince.

RADICE NON INDOEUROPEA

A parte chi sostiene che gli etruschi fossero un popolo autoctono per sviluppo culturale e quindi anche linguistico (direttamente discendente dalle popolazioni che giunsero in europa durante il paleolitico, per cui si parla di ‘sostrato preindoeuropeo mediterraneo’, ovvero di pelasgico, ogni volta che non si riesce ad incasellare una parola in un quadro linguistico noto), e che attualmente va per la maggiore, in questo gruppo minoritario rientrano le due famiglie linguistiche più probabili che almeno un linguista ha proposto come originanti l’etrusco, segnatamente nella fase di più antica formazione prima che i Tirreni giungessero nella penisola italica: quella uralo-altaica e quella semitico-accadica (nel corso di quasi tre secoli di tentativi di traduzione dell’etrusco innumerevoli studiosi e semplici appassionati hanno proposto l’accostamento con molte più lingue e gruppi linguistici, anche molto distanti geograficamente e temporalmente, ma non credo sia il caso di prenderli in considerazione tutti) che, in entrambi i casi, si basano su teorie che vanno al di là di quella solamente linguistica per proporre tentativi di spiegazioni più ampie di testimonianze archeologiche di fenomeni migratori molto antichi.

Come esempio di origine mediterranea (pelasgica) della parola zucca ho già avuto modo di citare

*cùccur: cúccuru, cúccaru, cúguru = «sommità della testa, cranio, cocuzzolo, cima di collina o di monte, colmo, (mammella, mi sento di aggiungere, per la forma simile ad un cocuzzolo che può avere quando è ripiena di latte, ndr.)», che è da confrontare col còrso cúcculu = «vetta», coi toscano cocoruzzo = «cima di monte a forma di pera, cocuzzolo», manfredonino e tarantino cóccoro = «cranio, sommità del capo», siciliano cúrucu = «estremità o culatta di un pane bislungo», e inoltre con gli spagnolo salm. cocorina = «sommità del capo», catalano cocoronell = «sommità del capo; estremità di una cosa», basco kukurh = «cresta», asturiano cucuruta = «cima», antico provenzale cuguro(n) = «sommità della testa». Si consideri però che la connessione dell’appellativo protosardo con numerosi altri dell’area mediterranea centro-occidentale induce a pensare ancora a un appellativo del sostrato “mediterraneo” (cit. Pittau).

URALO-ALTAICO

Per quanto riguarda invece l’ipotesi di derivazione uralo-altaica rimando gli interessati ai lavori del glottologo prof. Mario Alinei, limitandomi a riportare quello che mi ha risposto riguardo alla radice zuχ-/suc-:

 # Alinei : “la parola etrusca SUC è stata interpretata, da due studiosi diversi (prima dalla Ayda Adile e poi da me), come affine al turco SUC ‘azione rituale’, ed entrambi –sulla base del presupposto che il turco è una lingua altaica – abbiamo proposto anche il collegamento con il ciuvascio TSÜK ‘cerimonia religiosa in occasione di un sacrificio’.”

TURCO

su/suyu = “acqua, succo”, sucu = “waterboy, portaborracce” (ma anche “crimine”),  sükûn = “fermarsi, riposare, riposare, restare, tranquillità” (akkad. mettere, posizionare, impostare, impostare, stare in piedi), sükna = “insediamento, residenza, luogo di residenza, residenza”

UNGHERESE 

Nessuna parola utilizza la radice zuc-/suc- al di fuori dei soli susog e sùg = “sussurrare” e forse szűk = “stretto, angusto” e suoi derivati come szűkös = “povero, scarso, magro”, szükség = “bisogno, necessità, penuria”; e poi szügy = “collari, petto” e szűcs = “pellicciaio” . Riguardo alla loro etimologia il “DIZIONARIO ETIMOLOGICO, Origine delle parole e dei suffissi ungheresi“, Zaicz Gàbor- 2006, dice:

szűk = stretto [Fig. 13 seconda metà del secolo] Parola di origine sconosciuta. Originariamente un aggettivo specifico per un luogo o una regione potrebbe essere stato, ma i suoi usi nel senso trasferito sono stati sviluppati presto. Molti dei suoi vecchi derivati vivono nella nostra lingua, cfr. richiesto [13. seconda metà del secolo], stretto [1372 u.], restringimento [1474], necessario [1474], restringimento [1512 k], restringimento [1549], non necessario [1743], costrizione [1792], necessità [1826].

szügy = petto [1138 tn. (?), 1533] Una parola di origine incerta, forse antica Uralica, cfr. Interno finlandese “interno”, interno “stesso; kebel ‘, yeni sudo, suso’ breast ‘, sude, suse’ inside ‘, tavgi sinsa’ breast ‘. La base dell’orinatoio è * sicä o * sincä ‘all’interno parte “. La parola si trova nella consonante ungherese della consonante interna. brainer. La parola ungherese ha dati linguistici correlati rende difficile conciliare il fatto che la “parte interna” assunta nell’etimologia non può essere rilevata nella nostra lingua> “Corpo dentro”> “seno animale” significa sviluppo.

szűcs = pellicciaio [1181 tn. (?), 1380 k.] Una parola da una lingua turca pre-conquista di tipo chuvashiano, cfr. Chuvash ombra ‘sciabola’, altaji yikči ‘fogna, che cuce. Queste parole sono chuvash sava o yig (i), yik ‘seam, seam’ i nomi sono i nomi formativi -či usati per formare le professioni e la loro parola di base è * yi, * yü- ‘varr’ è anche la fonte ultima della nostra sete. La forma ungherese potrebbe essere stata * śiγči o eventualmente * śiβči. La parola ungherese sulla sua evoluzione, cfr. saggio, saggio.

SEMITICO-ACCADICO

Tra tutti i traduttori non ortodossi Giovanni Semerano occupa una posizione di rilievo. E’ famoso per aver proposto la derivazione di quasi ogni idioma indoeuropeo dalle lingue semitico-accadiche e quindi anche dell’etrusco. Sukkuku = sordo, demente, ottuso, ignorante, testardo (ma anche nome personale). Zuku = vetro. Zuqtu (Suqtu), Zuqqurtu = sommità di montagna, picco, rilievo. Zuqtu B = mento. Le analogie (casuali?) non mancano.

CINESE

A margine ricordo che “opo squash” è la lagenaria siceraria in una lingua lontanissima dall’indoeuropeo greco: il tagalog filippino, dove upo significa appunto zucca fiasco, ma che deriva dal cinese Hokkien o-pu cioè e

Inoltre esistono varie opinioni sulle modalità con cui andrebbero tradotti i testi del Corpus Inscriptionum Etruscarum, soprattutto quelli lunghi come la Tavola Capuana od il Liber Linteus di Zagabria, anche opinioni che non prevedono il metodo etimologico comparativo con altre lingue antiche (anzi, lo confutano), “ma che sostengono la maggiore (o esclusiva) efficacia del metodo ermeneutico o combinatorio il quale, prescindendo dalla possibile esistenza di affinità con altre lingue ed anzi opponendosi a qualunque ricerca in tale direzione, mira a tradurre l’etrusco concentrandosi esclusivamente sullo studio delle relazioni interne fra i singoli elementi dei testi, e di quelle fra i testi e i loro contesti materiali e culturali (tipologie di oggetti, collocazione, periodo storico).” (cit. Alinei)

Azu

In accadico la parola (rara) per indicare specificatamente la “sanguisuga” è ilqu(m)/ilqetu(m) (CAD, Vol.7 I/J, pag. 88), passata nel siriaco ‘ellaqā nell’ebraico ‘ălūqā e nell’arabo ‘alaqa, che attiene al concetto di “qualcosa di umido che aderisce, si attacca” e che sembra costituire un modello per le varie radici proto indoeuropee appena citate (p. es. *lekaną), mentre per “medico, physician, healer” la parola è asû [sum. A.ZU : ]. Secondo l'”Akkadian Dictionary” dell’Association Assyrophile de France quest’ultimo termine individua sia l’anellide sia la professione medica, ma non ho trovato conferme in altri dizionari come:
– “A concise dictionary of Akkadian“, Black, George, Postgate, Harrassowitz Verlag, Wiesbaden – 2000;
– “The Assyrian Dictionary (CAD)“, Oriental Institute of Chicago – 1968, reperibile per intero qui;
– “Pennsylvania Sumerian Dictionary” online.

Un’altra parola accadica per indicare vari tipi di parassiti vermiformi è tultu(m), ed in “On Leeches, Dogs, and Gods in Old Babylonian Medical Incantations“, saggio di Nathan Wasserman, nella Revue d’assyriologie et d’archeologie orientale 2008/1 (vol.102), pagg. 77-81 (la traduzione qui), si riportano i testi cuneiformi in cui essa viene più volte impiegata per sostenere la tesi che identificasse anche la sanguisuga e che, sebbene non vi siano evidenze sull’uso delle sanguisughe a scopo terapeutico in quei tempi remoti, è probabile che se ne conoscessero già anche gli aspetti ritenuti positivi nella pratica del salasso (sono molte le spille ed i bassorilievi antichi in cui le sanguisughe vennero prese a modello per creare decorazioni). Nonostante i termini per indicare medico e sanguisuga siano diversi, l’analisi dei miti dimostra quanto le due figure avessero a che fare l’una con l’altra.

La prima testimonianza scritta delle sanguisughe nella storia umana risale proprio a questo gruppo di testi babilonesi datati dal secondo millennio avanti Cristo nei quali, tra l’altro, si descrive questo verme ematofago tubuliforme che diventa spesso dopo aver succhiato il sangue dell’ospite lasciandogli un segno falciforme nel punto del morso; si racconta anche il caso di un bambino i cui occhi vennero attaccati dal verme dopo che gli venne lavato il viso con acqua di fiume in cui inavvertitamente erano presenti delle sanguisughe. Nonostante risulti evidente che l’anellide crei problemi per l’utilizzo dell’acqua per lavarsi e bere, in un mito si parla in termini positivi di una divinità minore del pantheon mesopotamico, Amashilama (amānu šī lamu?), la sanguisuga sorella del dio Ningishzida (il cui simbolo è la raffigurazione più antica conosciuta del caduceo, presente sul vaso da libagione di Gudea) e del dio Damu, divinità maschile della guarigione nota come asû e āšipu (cioè medico ed esorcista), e “figlia di Gula“, la dea babilonese della medicina e della guarigione (omologa alla dea sumera Ninsun). (parafrasi mia da “Leeches“, R. Kirk e N. Pemberton, Reaktion Books – 2013, pag.46). Se nella mezzaluna fertile non ci sono testi che ne descrivano l’utilizzo, dal Nilo la diffusione dell’uso delle sanguisughe e delle zucche ventosa non conobbe ostacoli, come dimostrato da pitture e testi come il papiro di Ebers, fino alla Grecia di Ippocrate ed in tutto il mondo mediterraneo, oltre che alla Cina ed alle Americhe.

e dell’accadico asû [sum. A.ZU : ]

Arabo Shadouf Safata Shaft Skufta Kelon

 

Zuchoni

In una tesi di linguistica del 2017, presentata dalla dottoressa Irene Reffo presso l’università di Padova, ed intitolata “Lingua e storia degli antichi mestieri veneziani“, a pag. 117 si menzionano gli zuchoni:

“Sul finire del XV secolo viene introdotta un’importante novità nella produzione di perle. Un tale Taddeo Barovier viene accusato, nell’ottobre 1470, di aver venduto fuori Murano “zuchoni, zoè chane de cristalo9, crimine per il quale fu condannato a pagare un’ammenda perché, contravvenendo alle regole dell’Arte, “missit in Levante zuchones de cristalo et parteme vendidit uno speziario in Venetia contra formam et tenorem suorum capitulorum noviter captorum10.
9 Luigi Zecchin, che ne ha scritto per la prima volta nel saggio “Taddeo Barovier” (1978), confessa di non sapere cosa fossero questi zuchoni. Tutt’oggi non si è giunti ad alcuna conclusione.
10 PdM, b. 28, fasc. 1, Sententie Criminales, 29 dicembre 1470.”

Naturalmente mi devo fidare di chi, avendo studiato l’argomento, “confessa di non sapere cosa fossero questi zuchoni” ma, se il testo antico stesso chiarisce dicendo “zoè chane de cristalo“, bisogna ritenere che fossero in effetti delle canne di cristallo, cioè tubicini cavi o pieni di vetro. Mi spingo ad immaginarli come pipette di Pasteur o pipette graduate, usate in laboratorio per aspirare e dosare liquidi nello stesso modo in cui si usano le cannucce per bibite. Se così fosse, è ipotizzabile che la parola veneziana zuchoni, col senso di succhioni, derivi anch’essa dal lat. sugo,-is, venendo così a costituire un ulteriore indizio a sostegno della mia ipotesi. Potrebbe però derivare anche dalla tecnica di produzione della canna vitrea monopolizzata dai vetrai Barovier di Murano, che consisteva nel sovrapporre e legare insieme diverse di quelle canne per ottenere le cosiddette perle vitree rosetta e le margherite. In questo caso potrebbe forse derivare da “azzuccare“, verbo usato di solito in marineria parlando della fase finale di realizzazione di un nodo, quando viene azzuccato, cioè stretto: quindi > azzucconi > zucconi?

assuccare v. tr. [der. ligure di zucca] (io assucco, tu assucchi, ecc.). – Nel linguaggio di marina, tesare un cavo o stringere bene una legatura allentata; riunire più oggetti stringendoli bene insieme con una legatura. Secondo il “Dizionario di Genovese – Italiano“, Giovanni Casaccia, tipi di Gaetano Schinone – 1876, “assûccâ” è un sinonimo di “assûffâ” = “acciuffare”, cioè prendere per il ciuffo, lemma derivato dal protogermanico skuftą che indica un “gruppo di capelli sulla testa”: in tal caso sarebbe evidente l’accostamento tra zucca = “testa” e ciuffo = “capelli della testa”. La parola skuftą presenta una qualche affinità con l’area semantica che attiene alla testa: kopf, capo, noggin, cupa, etc.

Altresì dicesi trincare:

trincare1 v. tr. [dallo spagn. trincar, di etimo incerto] (io trincotu trinchi, ecc.). – Nel linguaggio marin., legare, stringendoli a ferro (cioè al massimo), due oggetti fra loro, con una robusta trinca; per estens., legare forte, con una fune ben tesa.

trincare2 v. tr. [dal ted. trinken «bere», di origine incerta] (io trincotu trinchi, ecc.), fam. – Bere avidamente e con gusto (s’intende sempre del vino o di alcolici in genere): tra una parola e l’altra, abbiamo trincato un buon litro; spesso usato assol.: come trinca!quanto trinca!gli piace trincarealtri eran seduti sui carri, altri … sui cadaveri, trincando da un gran fiasco che andava in giro (Manzoni); E nel trincare Cantando un brindisi … (Giusti).

In accadico zukû è il vetro da cui l’aramaico זגוגיתא zɡuɡitɑʔ, l’ebraico זכוכית z’khukhít e l’arabo زجاج zujāj. Origine della lavorazione del vetro di Murano.

Il segno del morso, più che falciforme, assomiglia ad una Y, il che mi porta a pensare ad un’origine del segno grafico greco proprio dal marchio dell’anellide. In greco la Y (ypsilon), derivata dalla waw fenicia, come iniziale di parola portava sempre lo spirito aspro  ̔ , segno della pronuncia aspirata di un antico Σ (sigma) ormai caduto: gra.  ̔ Y<ΣY>ΣYΧ > etr. uVuz / YcYs (Zuχu/sucu) > lat. sucus. Mi viene da pensare che il segno grafico fosse associato proprio al morso della sanguisuga…

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Zucca Ventosa

Potrebbe inoltre essere all’origine della parola “zucca“, che normalmente invece si fa discendere dalla voce latina cucurbita (da cui il tardo cucutia passato poi nel dialettale cocuzza, con caduta della prima sillaba co- e metatesi reciproca di z con c, e che, con riferimento all’appena citato aggettivo succosus, non a caso indica ancora oggi anche una somma di denaro di non lieve entità): suctum>sucta>succa>zucca (oppure, con meno probabilità, dal verbo siccare>siccatum>siccata) per indicare l’ortaggio nella sua forma essiccata, quando è pronto per essere utilizzato come contenitore di liquidi (gli usi dell’ortaggio erano molteplici), anche nel senso di “succhiata” a causa del fatto che da essa abitualmente si succhiavano i liquidi contenuti bevendo a collo (da questa abitudine, se alcoolica, deriva anche il termine dialettale ciucco<sciocco, cioè “ebbro e quindi stupido”, ma anche “succhiato e quindi privo/privato di succo, insipido” [confronta con “pane sciocco“, cioè pane senza sale, insipido] e pure il verbo dialettale ciucciare/ciocciare, quasi onomatopeico, indica la stessa azione, con particolare riferimento al poppante: la somiglianza tra una Lagenaria ed una mammella è immediatamente riconoscibile). Mentre il termine con il quale veniva identificata in latino, cucurbita, potrebbe aver avuto origine invece da come la pianta tende a svilupparsi emettendo viticci che si arrotolano tra loro e su qualunque supporto incontrino, oppure dalla forma tondeggiante e piena della Lagenaria (cùccur, voce prelatina indicante un oggetto tondeggiante nella quale è abbastanza evidente la medesima radice dell’aggettivo lat. curvus e gra. γῦρος (pr. gyros) = “curvo”), indicando quindi più la specie vegetale così come si presenta in natura che non uno dei numerosi impieghi specifici del frutto (un po’ come succede con le maracas, ad esempio, il cui termine, derivato dall’antico Tupi marakana o dal Guaranì mbaraka, significa “sonaglio”, e per indentificare le quali, pur essendo fatte utilizzando piccole zucche essiccate, o i frutti essiccati della Crescentia Cujete, nessuno usa il relativo termine botanico come ricordato perfino nel “Dizionario ragionato universale d’istoria naturale“, Valmont di Bomarè, 1771, tomo duodecimo; anche per il sitār, il berimbau ed altri strumenti a percussione tutti ottenuti da zucche vale lo stesso ragionamento).

Ad ulteriore sostegno della mia ipotesi cito l’interessante articolo della professoressa Rosa Ronzitti, dell’università di Genova: “Italiano ZUCCA: un’etimologia impossibile?“.

Per tutti questi motivi, pur essendo una spiegazione incerta, mi sento di considerarla plausibile, ammesso e non concesso che la corrispondenza tra lessema etrusco e latino sia come l’ho immaginata io. Inoltre non posso dimenticare la traduzione certa (perché derivata da un’iscrizione bilingue) del gentilizio Ziχu con Scribonius = “scriba, scrittore”, nomen importante, che testimonia la possibilità che anche zuχu/sucu non sia un participio verbale, ma un sostantivo nomen agentis: se il latino tradusse in modo fedele il senso della parola ziχu (anche se non letterale, che avrebbe dovuto essere un attestato Sicconius), perché non avrebbe dovuto farlo anche nel caso di Zuχu/Sucu con un Succonius indicante un altrettanto possibile nomen agentis?

A questo punto della mia ricostruzione rientra in gioco la zucca il cui termine, solitamente considerato come derivante dal tardo lat. cucutiacocuzza dopo un’aferesi ed una metatesi avvenute durante la fase di volgarizzamento, è ben lontano dal latino classico cucurbita:

“…questo termine viene da taluni fatto risalire a un latino volgare “cucutia”, da confrontarsi con “cucutium” che sta per “cappuccio”. Il passaggio si sarebbe verificato attraverso un ipotetico “*zucutia”, ma il percorso etimologico è comunque ancora oggetto di discussione.” (Dizionario del dialetto valsuganotto, vol 2, pag. 404, Gianni Gentilini, ed. Silvy – 2010)

Eppure cucurbita già anticamente aveva tra i suoi significati anche quello figurato di “persona ottusasukkuku (a sua volta forse dal latino cucumis = “cocomero”, la cui origine potrebbe essere, attraverso il greco κυκυος (pr. kykyos), il sumero ukuš2 cocomero, o forse ancora dall’accadico kukkupu = “piccolo contenitore per libagioni” [come anche gli akk. šappu e kūtu > gra. κοτύλη (pr. kotyle) > lat. cotyla = “ciotola” ma anche “ventosa“], nella sua funzione di contenitore, di piccola coppa per contenere succhi libatori, da cui forse anche il latino cūpa = “coppa”), ma zucca potrebbe derivare anche dal greco σικυα (pr. sikya, e poi anche συκον, κυεω), forse a sua volta derivante dagli accadici qiššû (pr. chìsshu) e šūḫu (pr. shùkhu ! proprio come zuχu/sucu !) > [arab. kūsā].

Come testimoniato dalle parole che la identificano già in lingue antichissime e che passano quasi inalterate in lingue più recenti fino a quelle attuali e vive, la Zucca Lagenaria viene coltivata da tempi remotissimi proprio per essere poi essiccata e svolgere la sua funzione di contenitore per liquidi in virtù della sua impermeabilità, ma veniva anche impiegata anticamente (se ne hanno notizie sicure in un testo di medicina egizio del 1500 a.C., il papiro di Ebers) nella pratica medica della coppettazione dove, con l’affinamento delle tecniche, venne sostituita da coppette fatte in terracotta, metallo o vetro aventi la stessa forma. Queste coppette vennero chiamate dai greci σικυα [pr. sikya] = “zucca lagenaria” e dai latini cucurbitula = “(zucca) ventosa” (lett. “piccola zucca”, se ne parla anche qui da parte di Simone da Genova) proprio perché quei manufatti ne avevano la forma ed avevano sostituito le zucche (in etrusco zuχiana<zucienes, sembrerebbe, secondo il Gordon e zuci secondo il Pittau).

In una necropoli etrusca, il sepolcreto Moroni-Semprini di Verucchio (RN) attivo tra la metà dell’VIII sec. e la fine del VII sec. a.C., è stata rinvenuta una tomba (la n.° 25/1969) nel cui corredo funebre era presente una lagenaria non combusta, come riportato in “Le offerte vegetali nella tomba 12/2005 della necropoli Lippi di Verucchio (ca. 680-640 a.C.)“, articolo di Irene Sala e Mauro Rottoli, scritto per ARIMNESTOS, Ricerche di Protostoria Mediterranea, 1/2018, pp. 47-58. Questo fatto attesta l’antichità dell’uso anche presso gli Etruschi della lagenaria come contenitore anche in situazioni rituali e sacrali come la sepoltura dei defunti.